Rosario Livatino

Rosario Livatino, un giudice verso la santità

Le parole a Tgcom di Don Giuseppe, postulatore della causa

24 Set 2011 - 08:50
 © Dal Web

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L’incredibile parabola di Rosario Livatino: magistrato assassinato dalla mafia nel 1990, oggi è Servo di Dio, e un domani potrebbe diventare Beato e poi Santo. Nessuno ha dimenticato la storia del “giudice ragazzino”, come lo apostrofò l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Da sostituto procuratore del Tribunale di Agrigento, dal 1979 in poi Livatino aveva messo a segno numerosi colpi contro la mafia, attraverso lo strumento della confisca dei beni, e pagò con la vita. 

Era peraltro era un fervido cattolico, ogni mattina entrava in Chiesa per pregare ed era restio ai riflettori. Venne ucciso ventuno anni fa mentre si recava al lavoro senza scorta, per mano di quattro sicari assoldati dalla Stidda, organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa Nostra. “Un martire della giustizia e indirettamente della fede”, lo definì Papa Giovanni Paolo II.

La voce del postulatore della causa e l’iter
Già nel 1993 l’allora vescovo di Agrigento aveva incaricato Ida Abate, che del giudice fu insegnante, di raccogliere testimonianze per la causa di beatificazione. E il 19 luglio 2011 è stato firmato da Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, il decreto per l’avvio del processo diocesano di beatificazione e canonizzazione che è stato aperto il 21 settembre scorso, anniversario dalla morte, nella chiesa di San Domenico di Canicattì. “Prima di chiudere gli occhi vorrei vedere riconosciute le straordinarie virtù di Rosario”, ha dichiarato Sua Eccellenza. E Tgcom ha raggiunto il personaggio chiave, quello che più di tutti ha voluto questo primo gran giorno, ovvero il postulatore della causa Don Giuseppe Livatino. “C’è stata una grande emozione collettiva, coronata da un lunghissimo applauso con standing ovation da parte di tutti i presenti, dalle autorità ai semplici cittadini accorsi”, ha esordito il sacerdote. Che poi ha sottolineato: “Questa decisione ufficiale da parte della Chiesa di iniziare un’indagine vera e propria sull’attività e sull’ idealità del giudice rappresenta un segnale molto forte”. Don Giuseppe ricorda così la figura di Rosario Livatino: “Ha dimostrato un grande attaccamento al senso del dovere e alla coerenza umana e professionale. Gli episodi che lo dimostrano sono veramente tantissimi, sia nella sua vita privata sia in Tribunale. Rosario era un grande esempio, per tutti gli uomini e le donne credenti e non credenti che vogliono camminare sulla via della giustizia, della verità e dell’onestà”. Nel periodo successivo è prevista l’escussione dei testi indicati da Don Giuseppe e lo studio di tutti gli scritti editi e inediti del Servo di Dio (le due conferenze, le agendine, le lettere). I tempi tecnici di durata di questa prima fase diocesana non sono ancora noti. Concluso questo primo appuntamento, tutti i fascicoli saranno trasmessi alla Sacra congregazione per le cause dei Santi, a Roma, per la valutazione finale circa l’eroicità delle virtù del Servo di Dio. Successivamente sarà il prefetto di tale Congregazione vaticana, sulla base delle conclusioni tratte dalle commissioni teologica e scientifica, a proporre a Papa Benedetto XVI la firma del decreto di venerabilità, che permetterà al Servo di Dio di essere destinatario di culto pubblico, nell’attesa di essere proclamato Beato.

Il presunto miracolo del giudice
Per giungere alla beatificazione la Sacra congregazione dovrà appurare che al candidato sia ascritto almeno un miracolo per intercessione: dovrà trattarsi di guarigione di un male incurabile, avvenuta in maniera definitiva e non spiegabile dal punto di vista medico. E del presunto miracolo del giudice, avvenuto nel 1993, parla Gilda Sciortino, giornalista palermitana e autrice di Rosario Livatino, La coscienza di un giudice: “Una donna di Brescia, Elena Valdetara, affetta dal morbo di Hodgkin sogna Livatino, che non aveva mai visto prima, in abiti sacerdotali, che le preannunciava la guarigione. Così avvenne e nell’arco di un anno nella signora non ci fu più alcun segno di malattia”.

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