Un'inchiesta rivela che, passati i termini della 194, le immigrate ripiegano su farmaci dagli effetti abortivi per interrompere la gravidanza
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Un fenomeno allarmante quello dell'aborto selettivo, spesso già praticato in India e Cina, sembra essere molto diffuso a Milano. Indiane e cinesi spesso costrette all'aborto da mariti e fratelli quando scoprono di essere in attesa di una figlia femmina, dopo l'ecografia. In Italia il diritto all'aborto è regolato dalla legge 194 e può essere praticato entro il terzo mese di gravidanza.
Ma non è mai permesso per motivi di selezione del sesso del nascituro. Molte donne immigrate, provenienti da culture che enfatizzano la natura maschile e discriminano quella femminile, sono costrette ad abortire i feti femmina. Ovviamente nessun ospedale italiano accetterebbe di interrompere oltre il terzo mese una gravidanza senza alcun genere di problema e le donne ricorrono a metodi pericolosi pur di riuscire ad abortire.
In commercio esistono alcuni medicinali, che curano numerose patologie tra cui ulcera e gastrite, che hanno all'interno componenti chimici che possono provocare l'aborto. Non più laboratori-macellerie e mammane ma una semplice pastiglia con effetti abortivi, spesso presa senza nessun'assistenza medica, che potrebbe mettere in grave pericolo la vita della futura mamma.
I numeri sono emblematici: il fisiologico scarto tra nascite maschili e femminili dovrebbe aggirarsi intorno al 5%. Nella comunità cinese ogni 100 femmine nascono 109 maschi, attestandosi intorno al 10% di differenza. Questo, però, considerando solo le nascite dei primogeniti. Analizzando i dati delle nascite di secondo e terzogeniti si sale fino a 119 maschi ogni 100 femmine. E ciò avvalorerebbe la tesi dell'aborto selettivo.
Nella comunità indiana la situazione è ancor peggiore: ogni 100 femmine nascono 116 maschi primogeniti. Nel caso di secondo e terzogeniti la differenza è ancor più pesante: 137 maschi ogni 100 femmine.