cold case

Hedia, un mistero del mare lungo mezzo secoloLa nave scomparve con 19 italiani a bordo

Nel 1962 un mercantile battente bandiera liberiana affonda nel Canale di Sicilia. A bordo diversi nostri connazionali. Non è mai stato trovato un corpo. Una storia dimenticata che si intreccia con la guerra Franco-Algerina, la legione straniera, silenzi e insabbiamenti. Tgcom24 ha intervistato il nipote di uno dei marinai spariti nel nulla

di Domenico Catagnano
10 Mag 2013 - 17:27
 © Web

© Web

Questa è una storia che, se non fosse vera, potrebbe essere un ottimo soggetto cinematografico. E' una storia che parte da lontano, che attraversa oltre mezzo secolo e nasconde ancora tanti segreti. E' la storia dell'Hedia, una nave sparita nel marzo del 1962 nel Canale di Sicilia con 19 marinai italiani a bordo dei quali non si è saputo più niente. L'imbarcazione sembra essere scomparsa nel nulla, come i marinai. Nello sfondo la guerra franco algerina e un carico misterioso a bordo. Le domande senza risposta sono ancora tante. Cosa trasportava l'Hedia? C'è stato un naufragio o la nave stata silurata? E soprattutto che significato ha la frase pronunciata dall'allora presidente del Consiglio Amintore Fanfani "Per venti persone non si può fare una guerra"?
Accursio Graffeo è nipote di Filippo, uno dei 19 italiani dei quali non si hanno più notizie da quel marzo 1962. Con lui abbiamo cercato di ricostruire questa storia fatta di silenzi, depistaggi, speranze e ancora poche certezze

Chi era suo zio, Filippo Graffeo?

Era un ragazzo che nel 1962 aveva appena vent'anni. Nell'agosto del 1961 aveva lasciato la prima volta la sua famiglia e la sua città, Sciacca, nell'Agrigentino, per andare a cercare lavoro nel Nord Italia, come tanti suoi coetanei.
Com'era arrivato dalla Sicilia a Venezia?
A differenza di molti, mio zio Filippo non si orientò verso fabbriche del triangolo industriale ma cercò di continuare ciò che già da giovanissimo aveva provato, la vita in mare iniziata come pescatore, quello era il suo mondo. 
Decise si andare nella città lagunare per cercare un imbarco su una nave mercantile, per migliorare le condizioni economiche. Una scelta che era già stata fatta dal fratello maggiore Luigi, mio padre, che a quell'epoca aveva alle spalle diversi anni di navigazione a bordo di grandi navi mercantili e petroliere battenti bandiera inglese.
Come mai si trovava su quella nave?
Per caso direi. Sia lui che mio padre Luigi nel mese di ottobre 1961 si trovavano a Venezia, alla prima occasione mio zio Filippo si è imbarcato senza guardare chi fosse l’armatore, la bandiera e il tipo di nave. Venne assunto sulla nave Generous, nome che poi fu cambiato in Hedia, come marinaio di coperta cinque mesi prima che la stessa nave scomparisse nel nulla. 
Aveva raccontato a qualcuno di quel viaggio prima di partire?
A ogni porto in cui attraccava la sua nave spediva sempre una lettera a casa nella quale comunicava la destinazione del viaggio successivo. Ma non era spaventato per quella sua nuova vita, anzi si dimostrava tranquillo e maturo nonostante quella fosse la sua prima esperienza fuori casa. Come tutti i ragazzi di vent'anni aveva tanti sogni e certo non si sarebbe immaginato ciò che sarebbe successo.
Cosa successe dopo il presunto naufragio della nave?
Per prima cosa bisogna sottolineare che le ricerche della nave furono oltremodo tardive. Accadde una cosa molto strana, a mio avviso un vero e proprio depistaggio. Sette giorni dopo la scomparsa della nave, avvenuta il 14 marzo 1962 nei pressi dell'arcipelago tunisino di La Galite, radio Malta fece sapere di avere intercettato da radio Tunisi un messaggio proveniente dalla Hedia. Una comunicazione in cui l'imbarcazione su cui viaggiavano i marinai italiani faceva sapere di trovarsi in difficoltà per via di una violenta burrasca che proprio in quelle ore imperversava nel Canale di Sicilia. Questo dispaccio venne accolto con speranza dalle famiglie dei membri dell'equipaggio, ma dopo poco si rivelò incredibilmente falso. Infatti radio Tunisi, interpellata dal nostro consolato, rispose prima confermando a parole il suo dispaccio e successivamente smentendo ufficialmente di averlo mai diramato. 
 
L'intervista continua nella pagina successiva
.
© Tgcom24

© Tgcom24

Chi si mosse a cercare i marinai "spariti"?

Tutte le famiglie dei marinai fecero la loro parte, chi più chi meno. Ma tra tutti chi si distinse nelle ricerche fu Romeo Cesca, padre del marconista della Hedia Claudio Cesca. Quest'uomo, purtroppo scomparso ormai da tempo, fece tutto il possibile per ritrovare suo figlio e gli altri marinai. Contattò l'allora presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio, il ministro della Marina Mercantile e la Rai, ma non riuscì ad ottenere nulla se non delle blande rassicurazioni. E così si arrivò al 27 marzo 1962 quando successe un'altra cosa incredibile. Il ministero della Marina Mercantile telefonò al signor Cesca dando notizia che la Hedia stava lentamente risalendo l'Adriatico. La gioia di tutti i familiari fu grande. Alcuni parenti passati due giorni su un molo di Venezia in trepidante attesa ma la nave non arrivò. Una volta ricontattato, il ministero disse che si erano sbagliati e che in realtà della Hedia non c'erano altre notizie. Fu un colpo durissimo, ma i familiari non si arresero. Anzi, proprio il signor Cesca inviò un suo parente in Tunisia con il compito di battere palmo a palmo l'arcipelago in cerca di informazioni. Purtroppo anche in questo caso non si riuscì ad arrivare a nulla. Solo il comandante francese della base di Biserta, interpellato in merito, consigliò di inviare una relazione sulla scomparsa a Parigi. La cosa stupì tutti perché fino ad allora la Francia non aveva avuto nessun ruolo nella vicenda. Ma evidentemente proprio a Parigi dovevano essere a conoscenza di qualcosa dal momento che bastò un semplice articolo sulla Hedia, pubblicato dal giornale tunisino La Presse, per provocare le proteste del ministero della Guerra francese. 
Proprio a seguito di ciò, in Italia cominciarono ad uscire degli articoli in cui veniva ipotizzato il siluramento della nave da parte della Marina Militare francese che a quei tempi pattugliava le coste al confine tra Algeria e Tunisia. Forse si trattò di un errore.
Non posso sapere con certezza se questa sia la verità, ma di sicuro ancora oggi in famiglia ci chiediamo perché le autorità tunisine e francesi si dimostrarono infastidite dalle semplici richieste di chiarimenti sul destino toccato ad una nave da carico civile.
Cosa le hanno raccontato di quando fu pubblicata la foto circa sei mesi dopo la sparizione della nave in cui la sua famiglia pensò di riconoscere Filippo?
Fu l'ennesimo colpo di scena di questa storia, sicuramente il più clamoroso. Era il 2 settembre del 1962. La guerra franco-algerina era terminata da pochissimo e c'erano ancora diversi prigionieri europei nelle mani degli indipendentisti. E proprio informando sugli sviluppi della situazione in Algeria un giornale italiano pubblicò una telefoto (quella a sinistra, ndr) che ritraeva alcuni prigionieri in procinto di essere liberati nel Consolato francese di Algeri. A questo punto un amico di mio zio che abitava a Chioggia, uno che lo conosceva bene, lo riconobbe in mezzo a quei prigionieri e subito dopo altre cinque famiglie dissero di riconoscere nella stessa immagine i loro cari imbarcati sulla Hedia. All'inizio la gioia fu incontenibile anche perché mio zio Filippo era stato ritratto proprio in primo piano, quindi era impossibile sbagliarsi. Ci fu l'illusione che tutto potesse risolversi per il meglio. 
Dopo quella pubblicazione cosa successe?
La foto venne pubblicata in Italia il giorno 14 settembre e su richiesta dei parenti si riuscì a risalire al nome del fotografo e alla data dello scatto. Si scoprì quindi che la foto risaliva al 2 settembre, cioè dodici giorni prima della sua pubblicazione sul giornale. Ciò smorzò un po' gli entusiasmi. Ci si cominciò a chiedere come mai dopo tutto quel tempo nessuno dei marinai fosse riuscito a mettersi in contatto con l'Italia per dire che era vivo. Un'inchiesta giornalistica provò a risolvere l'enigma tentando di capire che fine avevano fatto quegli uomini, ma i risultati furono sconfortanti. Secondo la stampa infatti nessuno dei prigionieri ritratti nella telefoto era italiano, ma si trattava di pied-noir in procinto di essere rimpatriati in Francia. In particolare l'uomo che secondo mia nonna era suo figlio Filippo, venne identificato come tale Pierre Cocco, barista di Algeri riparato a Marsiglia. Ovviamente alcuni non si rassegnarono a questa versione dei fatti alquanto discutibile e vennero accusati di essere in preda a psicosi collettiva. Ma è possibile che una madre non riconosca più suo figlio dopo solo sei mesi? 
Che tipo di motivazione ufficiale ha dato lo stato italiano per la sparizione dell'Hedia?
Per lo stato italiano la Hedia è affondata quel 14 marzo 1962, nonostante dalle poche interrogazioni parlamentari presentate sul caso si evinca chiaramente che le ricerche furono lacunose per non dire inesistenti. La giustificazione che si diede fu che la Hedia non era un'unità navale italiana e battendo bandiera liberiana il nostro paese non aveva possibilità di svolgere indagini approfondite. Un paradosso perché ben 19 membri dell'equipaggio su 20 erano nostri connazionali. 
Sua nonna continua a sperare e a cercare la verità. In questi 50 anni che idea pensa si sia fatta?
La speranza è l’ultima a morire, tutto è possibile. A 97 anni cosa vuole che le dica, lei ricorda le parole dell’allora Presidente del Consiglio Amintore Fanfani “per venti persone non si può fare una guerra”. 
E voi familiari, come pensate siano andate veramente le cose?
La Hedia aveva sempre attraversato il Mediterraneo e l’arcipelago della Galite è lungo 15 km, un luogo sufficiente a trovare riparo. E poi nell’ultimo cablogramma inviato dalla nave pare chiaro che la situazione non era poi cosi allarmante. Noi pensiamo che ci siano stati troppi fatti e comportamenti strani, alcuni addirittura inspiegabili.
C'era anche una pista che portava alla legione straniera: è stata mai battuta?
Sì, un ex legionario raccontò ad un mio familiare di aver incontrato uno dei marinai della Hedia mentre si trovava arruolato nella Legione Straniera in Nord Africa. Costui disse di essere certo di ciò perché era proprio questo marinaio diventato legionario a comandare il suo plotone. Proprio recentemente, dopo tanti anni, sono riuscito a rintracciare questo signore che vive all’estero che però purtroppo non ha voluto incontrarmi e si è rifiutato anche di smentire questa sua testimonianza.
Voi parenti ora cosa pensate di fare? Avete già fatto qualcosa per smuovere le acque e cercare di svelare i segreti che si nascondono dietro la sparizione dell'Hedia?
Nonostante siano passati ormai cinquant'anni, noi familiari siamo più attivi e motivati che mai nel cercare di capire cosa accadde ai nostri cari. Eppure  fino a qualche mese fa, io stesso sapevo poco o nulla sui particolari di questo mistero dimenticato. Devo quindi ringraziare chi per primo ha riscoperto il giallo della Hedia dopo decenni di silenzio, evidenziandone tutte le stranezze e riportando questa storia all'attenzione delle cronache. 
Per quanto riguarda noi parenti, attualmente stiamo cercando di ristabilire i contatti con tutte le altre famiglie degli scomparsi. Con alcuni di loro stiamo lavorando sodo per provare a riaprire il caso. L'obiettivo è quello di fondare un'associazione per far conoscere alla gente ciò che accadde a diciannove nostri connazionali, letteralmente spariti nel nulla. Inoltre stiamo anche cercando di riallacciare i rapporti con chi nel 1962 si interessò alla Hedia nella speranza di riuscire a ricavarne indicazioni utili per continuare le nostre ricerche. Siamo consapevoli delle difficoltà che ci attendono ma il desiderio di rendere giustizia ai nostri cari ci spinge comunque ad andare avanti.  Nel concludere vorrei fare un appello: chiunque sia a conoscenza di qualsiasi informazione sull' Hedia si faccia avanti. Anche dopo mezzo secolo è giusto che venga finalmente alla luce la verità. Scrivetemi all'indirizzo mail accursio.graffeo@gmail.com

Commenti (0)

Disclaimer
Inizia la discussione
0/300 caratteri