IL PERICOLOSO FENOMENO

Blackout, il fenomeno web del soffocamento, l'esperto: "Stiamo fallendo sull'educazione"

Tgcom24 ne ha parlato con il dott. Michele Facci, psicologo e perito presso il Tribunale di Trento

di Giorgia Argiolas
16 Set 2018 - 19:41
 © ufficio-stampa

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Non è un fenomeno nuovo, è già diffuso tra gli adolescenti di tutto il mondo da almeno dieci anni e consiste nel privarsi dell'aria per periodi sempre più lunghi fino a svenire. È il "blackout" o "choking game", balzato alla ribalta delle cronache nazionali per via del caso di un 14enne suicida, la cui morte potrebbe essere collegata a questa pratica estrema. Perché i giovani si fanno coinvolgere da pratiche simili? Cosa si può fare? "La strategia non è la legge, ma l’educazione. Ed è sull’educazione che stiamo fallendo", ha dichiarato il dott. Michele Facci, psicologo e perito presso il Tribunale di Trento, a Tgcom24.

Dott. Facci, cosa può spingere i ragazzi a cercare stimoli simili? Qual è il problema?
Come società, come genitori e istituzioni non stiamo dando il buon esempio ai giovani. La comunità educante non c’è più. Le istituzioni non ci sono più, e non parlo solo di politica, ma di tutti gli ambiti. Manca il modello educativo tradizionale. Basti pensare che adesso se un insegnante mette una nota scatta la denuncia dei genitori, se diciamo ai ragazzi di non utilizzare il cellulare loro ti dicono che i politici lo usano anche in Parlamento, se educhiamo al giusto utilizzo dei social - no parolacce, insulti e bullismo - i giovani ci dicono “Guardate cosa fanno gli adulti”. Quindi se la comunità educativa non c’è e non funziona chi gestisce le classiche ansie adolescenziali? La rete. Ma la rete non è né controllabile né controllata. Non possiamo pensare di controllarla, questo è fuori da qualsiasi tipo di capacità tecnica.

Quindi, addentrandoci maggiormente nel tema, come definirebbe il blackout?
Innanzitutto, non lo chiamerei né gioco, né challenge, che forse come definizione è più sensata. Assimilerei il “blackout” ad altri fenomeni del web con cui condivide le strategie psicologiche. I ragazzi si privano dell’ossigeno per emulare quelli che possono essere gli effetti delle droghe. Invece di sballarsi usando sostanze stupefacenti si tolgono o si fanno togliere volontariamente l’aria per un determinato numero di secondi e questo genera in loro un effetto shock, una sorta di ictus, un blackout appunto. Il fenomeno, in senso più ampio, può essere definito come un insieme di video, hashtag, social, una comunità insomma che spinge a gesti di autolesionismo provocando addirittura casi di omicidio o suicidio.

Ma il fine dei ragazzi non è quello di procurarsi la morte, giusto?
No, quella è solo una tragica conseguenza. Il fine teorico è quello di sballarsi, così come quello dei siti web che inneggiano all’anoressia è quello di stare meglio. Distinguerei il fine teorico condiviso dalla comunità di questi fenomeni dai rischi che si corrono. Perché togliersi l’ossigeno è di fatto un atto autolesivo. E nemmeno un atto autolesivo che genera una qualche forma di divertimento o di adrenalina.

In merito al caso del 14enne suicida si è parlato di dark web, ma circolano dei video anche sul web accessibile a tutti. È un fenomeno più diffuso nella rete sommersa?
Il problema principale è che è impossibile frenare queste ondate. Io sono ben contento che i pm italiani abbiano detto che intendono sequestrare siti legati al fenomeno. Sicuramente c’è una parte di deep web, il web nascosto, in cui si trovano contenuti del genere, ma non è quello a cui fanno riferimento gli adolescenti. Il web sommerso è più utilizzato da narcotrafficanti, pedofili, ed è molto più complesso navigarci: ci vuole una certa competenza. Purtroppo, e questo è tragico, il problema è invece il normalissimo web. Nel senso che diventa tecnicamente impossibile riuscire a controllare la rete. Il punto è: come mai questi adolescenti si fanno persuadere da questi contenuti?

Appunto, chiedo a lei, come mai?
Se i nostri ragazzi si fanno persuadere da impulsi così negativi intanto significa che hanno il tempo per farlo. Questi fenomeni/contenuti, poi, stimolano alcune aree della loro mente perché magari c’è chi si sente più timido e inibito e allora prova a fare il “figo” - tra virgolette nel senso buono, perché è normale a quell’età - ma ha bisogno di farlo online perché non riesce a farlo dal vivo. Oppure non riesce a sballarsi in altro modo ed è più facile farlo dietro allo schermo del computer. Sembrerà strano, ma mi viene da dire: meglio una canna. Forse dobbiamo rivalutare l’adolescenza della trasgressione e smettere di pensare che il ragazzo che va a scuola, conosce quattro lingue e fa il corso di scacchi è un adolescente sano, perché invece l’adolescente sano è quello che trasgredisce. Certo, nei limiti. Non sto dicendo che sia giusto fumare le canne, chiaro. Però l’adolescente che non trasgredisce a me preoccupa.

Gli educatori - compresi i genitori - come possono aiutare i ragazzi?
La prima cosa da fare è usare i nomi in modo corretto. Come le dicevo prima il blackout non è un gioco, se chiamiamo gioco una pratica simile la stiamo favorendo e significa che non abbiamo il coraggio di dire quello che è. L’altro enorme strumento è l’ascolto: se questi ragazzi fanno tantissime attività, però quando tornano a casa non hanno modo - magari a cena - di poter parlare ed essere ascoltati, non va bene. E’ necessario dedicare un po’ di tempo all’ascolto dei nostri ragazzi. Magari non chiedendo “Cos’hai fatto oggi”, “Che voto hai preso”, ecc, ma “C’è qualcosa che ti piacerebbe fare?”, “Cosa ti sta piacendo o non della vita?”. Non bisogna sempre essere orientati alle performance di questi giovani, perché - davvero - sono bombardati.

Quindi il blackout non dobbiamo intenderlo come una moda?
Assolutamente no. Tra l’altro sui numeri non ci si può sbilanciare perché le ricerche su questi fenomeni sono difficilissime. Come si fa a contare tutti i post e i video che ci sono su questo tema? Più se ne discute più i giovani sono attratti e curiosi: dobbiamo parlarne nel modo giusto, non nascondere.

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