Sono accusati di associazione a delinquere finalizzata a reati commessi a ridosso o durante incontri anche internazionali
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Vasto blitz della Digos della Questura di Napoli contro un gruppo ultrà della squadra di calcio azzurra. Undici tifosi sono finiti in manette con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata a reati commessi a ridosso o durante incontri anche internazionali. I supporter violenti, appartenenti alla sigla "Bronx", si riconoscevano grazie a dei tatuaggi e capi d'abbigliamento.
L'indagine degli uomini del dirigente Filippo Bonfiglio, coordinata dal pool di magistrati specializzati in reati "da stadio" che fa capo all'aggiunto Giovanni Melillo, è durata due anni e si è avvalsa anche di intercettazioni telefoniche e ambientali. Tra gli episodi di cui sono responsabili gli 11 arrestati, anche la "caccia all'inglese" verificatasi a Napoli la sera prima della partita Napoli-Leverpool del 21 settembre 2010; 7 turisti inglesi feriti in diverse aggressioni in città e anche 5 poliziotti.
La frangia violenta di tifosi organizzati agì anche a Bucarest il 30 settembre 2010 in occasione di Steaua-Napoli; il 9 maggio 2010 per Napoli-Atalanta, con 13 poliziotti feriti o contusi; e il 7 febbraio 2010 in Udinese-Napoli, quando la Digos compì poi 9 arresti e denuncio 22 tifosi.
Già il 16 novembre 2010, gli investigatori in perquisizioni a elementi di vari gruppi del tifo organizzato, tra cui il Bronx, sequestrarono armi atte a offendere (mazze, aste di bandiera, coltelli anche a serramanico, noccoliere) e abbigliamento per travestirsi.
Tattooper riconoscersi
Tatuaggi per confermare l'appartenenza al "gruppo" e per riconoscersi. Il fatto che il tifo organizzato violento ha regole e strutture simili a quelle della delinquenza organizzata, che passano anche per l'avere un tatoo oltre che abbigliamento simile, era già emerso durante la prima fase delle indagini sui gruppi ultra' fatta dalla Digos di Napoli che, in occasione di perquisizioni e sequestri in abitazioni di 57 aderenti a varie frange violente il 16 settembre 2010, aveva notato i tatuaggi e tracciato una sorta di mappa delle "appartenenze". Intuizione confermata dall'inchiesta che ha portato all'arresto di 11 componenti dei "Bronx", tra cui il capo della consorteria, un uomo con precedenti ritenuto vicino al clan Mazzarella, che nelle riunioni del gruppo a casa sua mentre era agli arresti domiciliari coordinava le 'azioni' da compiere dentro e fuori lo stadio.