Tra le accuse all'esponente politico c'è l'appoggio esterno in associazione camorristica. Nove persone arrestate nell'inchiesta su un appalto di ristrutturazione
Sono state perquisite dai carabinieri le abitazioni di Stefano Graziano, presidente del Pd della Campania, a Roma e Teverola (Caserta). L'esponente politico è indagato nell'inchiesta della Dda di Napoli, coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, che ha portato all'esecuzione di nove ordinanze: per lui l'accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa. "Mi autosospendo dal partito - dice Graziano - e ho massima fiducia nei giudici".
"Con grande sofferenza - spiega - comunico la mia decisione in attesa di chiarire, al di là di ogni generico sospetto, la mia posizione. Ho sempre agito nel pieno rispetto dei principi di trasparenza e legalità, per me imprescindibili regole di vita. Pertanto, ho conferito mandato al mio legale di attivarsi presso la Procura napoletana perché al più presto venga fissato un interrogatorio nel quale potrò fornire ogni spiegazione sui fatti che l'Autorità giudiziaria riterrà di dover approfondire, confermando la mia totale estraneità a qualsiasi vicenda illecita".
Nell'indagine risulta coinvolto anche l'ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), Biagio Di Muro.
"Chiesti voti alla camorra" - L'ipotesi che ha indotto gli inquirenti a effettuare le perquisizioni nei confronti di Stefano Graziano, è che l'esponente politico abbia chiesto e ottenuto appoggi elettorali in riferimento alle ultime consultazioni per l'elezione del Consiglio regionale della Campania. Secondo tale ipotesi, Graziano si sarebbe posto "come punto di riferimento politico ed amministrativo" del clan Zagaria del quale è accusato di far parte l'imprenditore della ristorazione Alessandro Zagaria, omonimo del boss arrestato oggi. Lo spunto investigativo è stato offerto da una intercettazione di colloqui tra Alessandro Zagaria e Biagio Di Muro, l'ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere, anch'egli arrestato.
Colloqui nel corso dei quali si faceva riferimento all'appoggio elettorale che occorreva garantire a Graziano. Quest'ultimo si sarebbe attivato - ma tale circostanza non è ritenuta illecita dagli inquirenti della Dda - per favorire il finanziamento dei lavori di consolidamento di Palazzo Teti, al centro dell'inchiesta.
Tangenti mascherate come fatture false - In particolare avrebbe dovuto agire per scongiurare che si perdesse il finanziamento facendolo trasferire in un diverso capitolato di spesa. Dagli elementi raccolti sarebbe emerso il versamento a Di Muro, al funzionario Di Tommaso e al componente della commissione di gara Vincenzo Manocchio, di una tangente di 100mila euro da parte dei due imprenditori finiti ai domiciliari Guglielmo La Regina e Marco Cascella, rappresentanti legali delle società "Archicons Srl" e "Lande Srl", la prima responsabile della progettazione dei lavori relativi a Palazzo Teti, la seconda aggiudicataria dell'opera da oltre due milioni di euro. La mazzetta sarebbe stata "mascherata" grazie a una serie di fatture false necessaria a raccogliere la "provvista" emessa da società facenti capo ad altri due indagati.
Gli indagati rispondono a vario titolo dei reati di corruzione e turbativa d'asta con l'aggravante di aver agevolato il clan di Casalesi. L'indagine riguarda appunto l'appalto per i lavori di consolidamento di Palazzo Teti, in via Roberto D'Angiò confiscato al padre dello stesso primo cittadino, Nicola Di Muro.
La gara, che negli anni ha subito vari rallentamenti, secondo l'ipotesi accusatoria della Dda di Napoli, sarebbe stata vinta da un raggruppamento di imprese ritenuto vicino al clan guidato da Michele Zagaria. Già nel luglio 2015 l'ex sindaco, in carica fino a pochi mesi fa, fu oggetto di una perquisizione.