Respinte le istanze di scarcerazione di Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, ritenuti l'anello di congiunzione tra il clan calabrese dei Mancuso di Limbadi e quello guidato dal "cecato"
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"Il clan di Massimo Carminati è da anni in affari con il clan 'ndranghetista dei Mancuso di Limbadi". Lo scrivono i giudici del Riesame nelle motivazioni con cui hanno respinto le istanze di scarcerazione di Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, ritenuti dalla procura romana l'anello di congiunzione tra la 'ndrangheta e Mafia Capitale. I due "sarebbero stati accreditati presso la famiglia Mancuso su richiesta di Salvatore Buzzi".
Secondo i magistrati, Carminati con Salvatore Buzzi aveva costituito la coop Santo Stefano, onlus destinata a gestire l'appalto per la pulizia del mercato Esquilino. "La nascita della cooperativa - si legge - avrebbe costituito la conferma del rapporto tra l'associazione mafiosa romana e il clan Mancuso che aveva gia' portato a proficui affari in Calabria". Rotolo e Ruggiero "sarebbero stati di fatto accreditati su richiesta di Buzzi presso la famiglia Mancuso che come proprio referente per le attività a Roma aveva indicato l'imprenditore Giovanni Campenni".
Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, scrivono poi i giudici, "sono soggetti pericolosi per la collettività e da sempre gravitanti nell'ambito di organizzazioni criminali organizzate". Nel provvedimento di oltre 40 pagine, viene ricostruita la storia criminale dei due a cui viene contestata l'associazione a delinquere di stampo mafioso.
Parlando di Ruggiero, in particolare, il tribunale scrive che "sin dagli anni '90 aveva frequentazioni con elementi di spicco della 'ndrangheta calabrese e in particolare con Girolamo Mole detto U Gangiu" mentre Rotolo "risulta collegato, e non solo per ragioni di parentela, con il clan Piromalli di Gioia Tauro".
Per il Riesame, "entrambi gli indagati trasferitisi a Roma non hanno evidentemente perduto i contatti con la criminalità organizzata calabrese tanto da avere accettato l'incarico da parte di Buzzi di prendere contatto con la cosca Mancuso di Limbadi". Per i magistrati romani, i due "avevano a disposizione anche armi".