Delitto Macchi, pm: "Stefano Binda stuprò Lidia e poi la uccise per punirla"
© tgcom24 | Stefano Binda
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Secondo gli inquirenti la ragazza sarebbe stata assassinata perché si era "concessa" e quindi aveva infranto il loro credo religioso
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Stefano Binda, l'uomo arrestato per l'omicidio di Lidia Macchi avvenuto nel 1987, avrebbe prima violentato la ragazza e poi l'avrebbe uccisa perché convinto che lei si fosse concessa e che non avrebbe dovuto farlo per il suo "credo religioso". E' quanto emerge dalla indagini che hanno portato stamani all'arresto. Sia l'uomo che la vittima frequentavano ambienti di Comunione e Liberazione e avevano studiato allo stesso liceo.
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Da quanto si è saputo in relazione all'imputazione di omicidio volontario aggravato dai motivi abietti e futili, dalla crudeltà, dal nesso teleologico e dalla minorata difesa, Binda, 48 anni (aveva un anno in meno di Lidia Macchi all'epoca), avrebbe prima costretto la ragazza ad un rapporto non consenziente e poi l'avrebbe uccisa con coltellate "a gruppi di tre".
In particolare, l'uomo, laureato in Filosofia e descritto come "colto", senza occupazione fissa (prima di essere arrestato viveva con la madre pensionata a Brebbia, nel Varesotto), e con un passato di droga negli anni 90, sarebbe salito sull'auto della giovane il 5 gennaio 1987 nel parcheggio dell'ospedale di Cittiglio (Varese), dove Macchi si era recata per andare a trovare un'amica. L'auto con a bordo i due, sempre stando all'imputazione, si sarebbe mossa fino a raggiungere una zona boschiva non distante e là Binda avrebbe prima violentato la ragazza e poi l'avrebbe punita uccidendola, perché nella sua ottica aveva "violato" il suo "credo religioso" 'concedendosi'.
Numerose coltellate alla schiena - L'avrebbe, poi, colpita, dopo la violenza, con numerose coltellate prima in macchina e poi mentre cercava di fuggire all'esterno. I colpi, in particolare, sarebbero stati inferti "alla schiena" e anche ad una gamba mentre stava cercando di scappare. Lidia Macchi sarebbe morta per le ferite e per "asfissia" e dopo una lunga "agonia" in una "notte di gelo". Quest'ultimo passaggio del capo di imputazione, formulato dal sostituto pg di Milano Carmen Manfredda, riprende alcune parole scritte nella misteriosa ed inquietante lettera anonima che arrivò il giorno dei funerali alla famiglia Macchi. Lettera che, secondo le nuove indagini, sarebbe stata scritta proprio da Binda.
Gip: "Forse Lidia voleva salvarlo dalla droga" - Lidia Macchi forse si sentiva attratta da Stefano Binda, che aveva fama di "intellettuale dannato" ed era molto "carismatico" e considerato "un leader nato" dal gruppo di amici che frequentavano. E forse pensava di poterlo aiutare ad uscire dal giro di droga in cui era finito l'estate precedente, quando si era avvicinato all'eroina. Dipendenza che lo accompagnerà negli anni, almeno fino al 2009, quando gli è stata ritirata la patente proprio perché guidava sotto effetto dello stupefacente. Il particolare emerge dall'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Varese Anna Giorgetti.
"Non sembra potersi escludere - scrive il gip - anzi, che proprio la fragilità di Stefano Binda diventi il motivo di interesse di Lidia". La ragazza, poi, decide di provare a "salvare" l'amico e compra diversi libri sulle tossicodipendenze nella libreria Pontiggia di Varese e ad un commesso dice di volersi documentare per "combattere" il problema. Uno dei libri che aveva comprato, dal titolo "Seppellitemi con i miei stivali sembra rivestire un significato particolarmente pregnante se non premonitore - osserva il gip - dato che pare presentare analogie pienamente pregnanti al vissuto di Lidia" dato che racconta "la vicenda di una ragazza di buona famiglia che si innamora di un drogato e cerca di salvarlo, venendo invece gravemente ferita da lui".
Mamma Paola: "Trent'anni che aspettiamo" - "Trenta anni che aspettiamo, finalmente si fa luce sull'omicidio di Lidia". E' il commento di Paola Macchi, madre di Lidia, la studentessa di Legge alla Statale di Milano, uccisa con 29 coltellate il 7 gennaio 1987 a Cittiglio (Varese). "La procura di Milano ha lavorato in silenzio, ma ha lavorato sodo", aggiunge Paola Macchi. Su Stefano Binda, ex compagno di liceo della vittima, finito in manette con l'accusa di omicidio, la mamma di Lidia ha detto di averlo visto poche volte in passato e che non frequentava né la figlia né la loro casa.