Slitta al 16 gennaio l'udienza con il boss, imputato per minacce al direttore del carcere di Opera. Nessuna conferma ufficiale a proposito dell'operazione
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Totò Riina "sarebbe stato sottoposto a un intervento chirurgico". Lo ha detto il presidente del collegio della sesta sezione penale di Milano, Raffaele Martorelli, all'inizio dell'udienza a carico del boss, imputato per minacce al direttore del carcere di Opera, Giacinto Siciliano. Riina non è infatti collegato, come al solito, per l'udienza in videoconferenza dal carcere di parma, e i giudici hanno detto che non è nelle condizioni di partecipare.
Il processo è slittato al 16 gennaio per ragioni di salute: sull'operazione chirurgica non ci sono al momento conferme ufficiali: persino il legale del boss non sa cosa sia realmente accaduto al suo assistito. Una nota del carcere spiega solo che il boss "non può essere al momento trasferito al di fuori della sezione detentiva" dell'ospedale di Parma, dove è ricoverato per le sue condizioni fisiche.
Il Tribunale, ha spiegato Martorelli, "dà atto di aver appreso che Riina è impedito a partecipare all'udienza e che lo stesso sarebbe stato sottoposto a intervento chirurgico e di aver già richiesto al carcere di Parma notizie e informazioni precise sulla situazione del detenuto e che tali notizie non sono ancora pervenute".
Le condizioni di salute del "boss dei boss" - L'11 luglio, sulla base di una relazione dell'ospedale di Parma, dove il "capo dei capi" di Cosa Nostra è ricoverato in regime detentivo del 41 bis, il Tribunale di Milano aveva stabilito che, malgrado la "età avanzata" e le numerose "patologie", il boss ha la "piena capacità di intendere e di volere" e il procedimento deve andare avanti. Da un lato, infatti, hanno scritto i medici, Totò Riina soffre di una "cardiopatia" di "tale entità da condizionarne ogni attività" e che lo "espone costantemente" al "rischio di morte improvvisa". Dall'altro lato, però, è "vigile e collaborante, discretamente orientato nel tempo e nello spazio".
I suoi legali, gli avvocati Luca Cianferoni e Mirko Perlino, avevano provato a chiedere per il boss mafioso lo stop del processo (scaturito da intercettazioni ambientali di quattro anni fa nella casa di reclusione milanese dove era detenuto all'epoca) o in subordine una perizia per valutare la "capacità processuale", ossia di comprendere di essere sottoposto a un processo. Ma la richiesta era stata bocciata.