Fatima, marocchina, aveva perso il suo contratto a progetto come interprete
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Non aveva voluto togliersi il velo in un'aula di tribunale, a Torino, dove era fonica e interprete, e in seguito alla vicenda aveva perso quell'impiego. Ma adesso la donna, Fatima M., marocchina e musulmana, tornerà a lavorare, questa volta a tempo indeterminato. Ha infatti vinto la causa da lei intentata in seguito al licenziamento e due udienze davanti al giudice del lavoro sono bastate per riconquistare quel posto.
L'antefatto
La vicenda del velo in aula risale a un anno fa circa, quando a un'udienza il giudice Giuseppe Casalbore le chiede appunto di togliersi il chador per rispettare una norma del vecchio codice di procedura. La donna non ci sta ed esce dall'aula. La notizia si diffonde, ma è la stessa Fatima a cercare di non dar troppa risonanza al fatto temendo che ci possano essere conseguenze sul suo contratto di precaria, in scadenza a fine anno.
D'altra parte, la questione viene subito chiarita: è infatti accertato che le donne hanno il diritto di non togliersi il chador in un'aula di tribunale se lo indossano per motivi religiosi. A Fatima però il contratto a fine anno non viene rinnovato dall'Isp, l'Istituto stenodattilo professionale con cui aveva il suo rapporto di lavoro: si tratta di una società che fornisce servizi al ministero della Giustizia. Il motivo indicato è una riduzione del lavoro e del numero di udienze, subito smentita dallo stesso tribunale.
Licenziamento e religione
Insomma, l'impressione generale è che in realtà, all'origine dell'allontanamento di Fatima, ci sia quello spiacevole episodio legato alla sua abitudine di portare il velo. E sì che il suo lavoro di traduttrice e interprete aveva sempre ricevuto giudizi positivi da colleghi e magistrati. In tribunale Fatima lavorava da maggio e la sua professionalità era riconosciuta e apprezzata da tutti. Lo stesso giudice Casalbore aveva manifestato il suo dispiacere alla notizia del licenziamento, dicendo che forse il suo invito a togliersi il velo in quell'occasione era stato strumentalizzato.
La battaglia per il lavoro
Lei, madre di due figli, non può e non vuole rinunciare a quell'unica entrata fissa, 600 euro al mese circa, e allora ecco che comincia la sua battaglia, assistita dagli avvocati Paolo Berti e Alida Vitale. La vittoria non tarda ad arrivare: il giudice del lavoro le dà ragione e adesso la Isp deve riassumere Fatima con un contratto a tempo indeterminato per 40 ore a settimana e non più con un rapporto di lavoro "a chiamata" come il precedente. Insomma, la donna riesce addirittura a migliorare la sua situazione lavorativa e riceverà anche un risarcimento pari a mille euro. E' già stata fissata la data del suo rientro al lavoro: il 16 novembre.