Gli imputati erano stati arrestati nell'aprile 2013 dopo un'indagine condotta dalla Dda di Bari
La Cassazione ha annullato le condanne inflitte nei confronti di 5 presunti jihadisti, ordinando l'immediata scarcerazione dei 4 imputati detenuti accusati di associazione finalizzata al terrorismo islamico. Per i giudici infatti il "fatto non sussiste". Nei confronti di uno dei 4, l'imam Hosni Hachemi Ben Hassen, la Suprema Corte ha annullato la sentenza con rinvio per la rideterminazione della pena solo per il reato di istigazione all'odio razziale.
Le tappe della vicenda - Gli imputati erano stati arrestati dal Ros dei Carabinieri di Bari nell'aprile 2013. In primo grado, nel settembre 2014, al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato, furono condannati dal Tribunale di Bari a pene comprese fra i 5 anni e 2 mesi (Hosni, ritenuto il capo, difeso dagli avvocati Giangregorio De Pascalis e Roberta Maria Porro) e i 3 anni e 4 mesi gli altri quattro, tutti di nazionalità tunisina e ritenuti componenti l'associazione: Faez Elkhaldey, detto 'Mohsen', difeso da Sergio Ruggiero, Ifauoi Nour, detto 'Moungi', difeso da Vittorio Platì, Khairredine Romdhane Ben Chedli, difeso da Carolina Scarano e Chamari Hamdi, difeso da Carlo Corbucci. Secondo l'accusa, gli imputati "cooperavano nell'attività di proselitismo, di finanziamento, di procacciamento di documenti falsi, tenevano i contatti con altri membri dell'organizzazione, disponibili al trasferimento in zone di guerra per compiervi attività di terrorismo". In appello, nell'ottobre 2015, le condanne furono confermate con riduzione di pena a 2 anni e 8 mesi per il solo Chamari Hamdi.
Le indagini - Stando alle indagini della Dda di Bari, tra il 2008 e il 2010 il gruppo, sotto la guida dell'Imam tunisino della moschea di Andria, Hosni Hachemi Ben Hassem, alias Abu Haronne, di 50 anni, avrebbe studiato in rete le tecniche per costruire ordigni, si sarebbe addestrato sull'Etna, in Sicilia, ridendo delle chiese distrutte in Abruzzo dal terremoto e parlando di odio, di sacrificio, di morte. Agli atti del processo c'erano materiale fotografico e video, documenti, intercettazioni telefoniche, e poi le rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia, terroristi pentiti. Sempre secondo la Dda, l'indottrinamento finalizzato anche al reclutamento di volontari mujaheddin da avviare ai campi di battaglia in Afghanistan, Yemen, Iraq e Cecenia avveniva nel call center gestito dal presunto capo dell'organizzazione.