Secondo la Terza sezione civile della Cassazione, i 20mila euro cui il ministero dei Trasporti e quello della Difesa sono stati condannati dalla Corte d'appello di Catania nel 2010 sono troppo pochi. Per questo è stato disposto il rinvio del caso, per riquantificare al rialzo il risarcimento, del giovane siciliano che aveva chiamato in causa le due amministrazioni per violazione della privacy e discriminazione sessuale.
La vicenda risale al 2001 - Nel 2001 il giovane, all'epoca ventenne, si era sottoposto alla visita medica di leva all'ospedale militare di Augusta, e lì aveva dichiarato di essere omosessuale. Era stato esonerato dal servizio e qualche mese dopo la Motorizzazione civile di Catania gli aveva notificato il provvedimento di revisione della patente di guida, richiedendo una nuova visita medica di idoneità. Il provvedimento era stato disposto per effetto della comunicazione dell'ospedale militare per verificare l'esistenza dei requisiti psicofisici alla guida.
La vittima chiese un risarcimento di 500mila euro - Il ragazzo si rivolse quindi al tribunale chiedendo un risarcimento di mezzo milione di euro. Il giudice di primo grado aveva accolto l'istanza, disponendo però un risarcimento più basso, di 100mila euro. Con l'appello dei due ministeri, la corte catanese aveva ancor più ridotto la cifra abbassandola a 20mila euro, ritenendo "esorbitante" la somma riconosciutagli in primo grado, dato che la discriminazione sessuale e la concorrente violazione della privacy - ad avviso dei magistrati di secondo grado - "si erano risolte unicamente nell'apertura delle procedura di revisione della patente", e l'illegittima violazione sarebbe "rimasta circoscritta ad ambito assai ristretto". Per questo "non vi era stato pubblico ludibrio" e la vicenda era rimasta "riservata".
Cassazione contro la Corte d'appello - Il caso ebbe rilievo sulla stampa, dopo che lo stesso giovane lo denunciò mostrando tra l'altro il certificato con la diagnosi, "disturbo dell'identità sessuale", in base al quale era stata avviata la pratica. Nel riaprire il caso, la Cassazione ha bacchettato la decisione d'appello. "Nonostante il malaccorto tentativo della Corte territoriale di edulcorare la gravità del fatto, riconducendola ad aspetti endo-amministrativi, è innegabile - scrive la Suprema Corte - che la parte lesa sia stata vittima di un vero e proprio (oltre che reiterato) comportamento di omofobia". E' quindi certa "la gravità dell'offesa", fatto rilevante per la quantificazione del danno.