un libro per ricordarlo

Un libro per Giuseppe Bellanca, pioniere dimenticato delle prime "macchine volanti"

In pochi in Italia si ricordano di quest'uomo che negli Stati Uniti è un mito per aver scritto la storia dell'aviazione nella prima metà del secolo scorso. Un volume gli consegna, a 53 anni dalla morte, la giusta gloria

di Domenico Catagnano
27 Dic 2013 - 14:34
 © Tgcom24

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"Beato il Paese che non ha bisogno di eroi", scriveva Berthold Brecht, ma tutt'altro che beato è un Paese che i suoi eroi li ha e li dimentica. Uno di questi è Giuseppe Bellanca, un nome che  praticamente nessuno in Italia conosce ma che negli Stati Uniti è venerato per essere stato uno dei padri dell'aviazione civile. Ingegnere visionario, nel 1911, a 25 anni, lasciò il nostro Paese per gli States (anche allora c'erano le "fughe di cervelli"...) dove fondò una scuola di volo e fino al 1960, anno della sua morte, continuò a progettare aerei su aerei. Finalmente è uscito un libro, "Giuseppe Mario Bellanca e i pionieri sulle macchine volanti"  (Epsylon editrice, 14 euro) che rende parziale giustizia a questa dimenticanza tutta italiana. Tgcom24 ha intervistato l'autore del volume, Accursio Soldano.

Chi era Giuseppe Bellanca? Perché la sua figura è da ricordare?
Perché è uno dei maggiori scienziati che l’Italia abbia generato. Quello che Giuseppe Bellanca ha fatto nel campo dell’aviazione è paragonabile a quello che altri grandi, come Volta o Pacinotti, hanno fatto nei loro campi di competenza. Ha stravolto il modo di costruire aerei passando dalla formula biplana al monoplano, ha cambiato l’impostazione del motore, ha costruito aerei capaci di battere qualsiasi record fino a quel momento inimmaginabili, compresa la trasvolata sull’Oceano Atlantico. E’ stato un pioniere dell’aviazione e nel corso della sua vita ha sempre cercato nuove soluzioni. Praticamente, quando oggi saliamo su un aereo di linea, la maggior parte delle invenzioni che lo rendono sicuro sono uscite dalla Bellanca Aircraft

 
Siciliano di nascita, studi a Milano, a un certo punto va negli Stati Uniti. Come mai?
Perché in Italia non c’erano le condizioni, sia economiche che sociali, per poter portare avanti i suoi progetti. Basti pensare che il primo aereo che Bellanca costruì assieme a due suoi amici, anche loro studenti al Politecnico di Milano, era in canne di bambù e l’hangar era una vecchia stalla. Il secondo progetto invece non vide mai la luce perché non furono trovati i soldi necessari per comprare un motore. E allora, considerato che in America c’erano già due suoi fratelli e che le condizioni di vita e di opportunità erano completamente diverse, decise di emigrare.

La sua figura viene associata a quella di Lindbergh, come mai?
Beh, fu lo stesso Lindbergh a dire: “Se posso avere un Bellanca volerò da solo” e fu lui che si recò in fabbrica per comprare il famoso WB2 che aveva battuto tutti i record di persistenza in volo. Lindbergh sapeva benissimo che con un aereo costruito nelle fabbriche Bellanca si poteva volare sopra l’Oceano, senza scalo, da New York a Parigi, ma il socio di Bellanca, Charles Levine, si rifiutò di venderglielo. Il resto è storia. Ma quello che mi preme sottolineare e che in pochi sanno è che il giorno in cui l’aereo di Lindbergh partì per la storica traversata dell’Oceano, sul campo di volo c’erano tre aerei e quello di Bellanca, con a bordo il pilota Charles Chamberlin, era sicuramente il più veloce ed il più sicuro. Solo che, a seguito di una denuncia, l’aereo fu posto sotto sequestro. Oggi tutti giustamente ricordano Lindbergh, ma se non ci fossero state beghe legali, che spiego nel libro, avremmo un’altra storia.

Nella New York di quegli anni strinse amicizia con Fiorello la Guardia, che diventerà sindaco della Grande Mela. Come si conobbero i due?
Come si conoscono due emigrati che hanno voglia di fare qualcosa per cambiare la loro condizione sociale. Spinto dalla sua passione per il volo, quando Bellanca si trasferì in America cominciò a costruire il suo nuovo aeroplano grazie ad un finanziamento che gli accordarono alcuni membri della comunità italiana. Il maggior finanziatore di quel progetto fu un ristoratore italiano, insieme ai suoi cuochi e ad alcuni camerieri. Fu stipulato un regolare contratto sottoscritto dalle parti e redatto da un giovane avvocato di nome Fiorello La Guardia. Poi, in cambio di lezioni di volo, La Guardia insegnò a Bellanca a guidare l’automobile.

Gli Stati Uniti hanno addirittura dedicato una copertina del "Time" a Bellanca. Com'è ricordato al di là dell'Oceano?
Se dovessi elencare tutto ci vorrebbero pagine intere. La vecchia fabbrica di Bellanca è stata restaurata, ci sono associazioni, tipo “Friends of  Bellanca” che lo ricordano, lo Smithsonian Museum di Washington ha tre sale espositive dedicate a lui, in Giappone c’è un monumento che ricorda la prima trasvolata dell’Oceano Pacifico compiuta da un aereo della Bellanca aircraft, stessa cosa in Lituania. A Bellanca sono dedicate strade in quasi tutti gli Stati Uniti. Per gli americani è un genio, inserito nel 1993 nella Hall of fame dell’aviazione mondiale.
 
E qui in Italia? C'è qualcuno che si ricorda di lui?
A primo acchito direi pochi. Sicuramente gli addetti ai lavori, le scuole di volo, le università, ma non essendo una rockstar ed essendo passati più di 50 anni dalla sua morte il ricordo comincia a svanire. E poi, a parte il fatto che neppure quando era in vita Bellanca sapeva pubblicizzare bene il suo lavoro, ricordiamoci che era un costruttore di aerei, e solitamente, quando si compiva un’impresa aviatoria, la fama e i titoli dei giornali andavano soprattutto ai piloti. Però posso dire che uno dei motivi che mi ha spinto a iniziare la ricerca su Bellanca è stato un articolo di una paginetta pubblicato nel giornale “Giro campo” pubblicato dall’aero club Brescia a firma di Pierre Verzelletti. Leggendo quell’articolo ho capito che stavo cominciando a scoprire qualcosa di importante: un genio dell’aviazione mondiale.   
 
Ci parli un po' del libro. Com'è nata e come si è sviluppata l'idea? Che materiali ha consultato per la stesura?
L’idea è nata da un mio amico e lontano parente di Bellanca. Avevo scritto un libro sulla storia dei sindaci di Sciacca (città dove è nato Bellanca, ndr) e Filippo Bellanca mi propose di scriverne uno su quel suo lontano parente. All’inizio non avevo idea da dove cominciare e cosa avrei trovato. Le solite iniziali ricerche su Google, qualche articolo su quotidiani italiani e poi un abbonamento a tutti i quotidiani americani per avere accesso alle edizioni dei primi del 900, contatti con lo Smithsonian che mi inviò del materiale, ricerche in biblioteche e vecchi libri americani dedicati proprio a Bellanca, e contatti con le associazioni americane che ricordano Bellanca e con alcuni suoi parenti. La cosa che mi è dispiaciuta, se posso dirlo, è che mentre ho trovato piena collaborazione in alcuni parenti di Bellanca che abitano a Sciacca e a Palermo, da altri, a cui ho chiesto notizie e foto, ho ricevuto solo dinieghi. E non ho ne mai capito il motivo. Comunque, mi accorgevo che più andavo avanti più quel Bellanca era una continua scoperta. I suoi piloti e quelli che avevano pilotato i suoi aerei erano americani, peruviani, lituani, italiani, tedeschi e per ogni volo c’era una storia da raccontare. E’ stata una ricerca entusiasmante e commovente. Lo ammetto, mi sono commosso quando ho incrociato la storia di Francesco De Pinedo.
 
Alla fine del libro c'è anche una perizia grafologica su alcuni scritti di Bellanca. Cosa emerge?
Emerge la figura di un uomo intelligente, concreto, di uno che non amava le teorie astratte o le situazioni poco chiare. Bellanca era risoluto, decideva l’obiettivo e organizzava l’azione cercando di risolvere immediatamente i problemi pratici. Come ebbe a dire Elinor Smith, il suo capo collaudatore: Bellanca è uno che ride, si diverte, e a tavola è spassosissimo, ma quando siamo al lavoro cambia completamente, diventa preciso e se necessario burbero.

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