Il Segretario della Cisl spiega a Tgcom24 la sua idea di tutela dei lavoratori e parla anche del neo segretario del Pd, Matteo Renzi
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Qual è oggi il ruolo dei sindacati in Italia? Rispondono Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, e Mimmo Carrieri, docente ed esperto di storia sindacale. Leggi anche gli altri articoli dello speciale Sos Lavoro sugli italiani all'estero, gli errori di chi si propone per una posizione, le potenzialità del web, il mondo della pubblica amministrazione, la giungla degli stage, l'importanza di fare cv e colloquio perfetti, i contratti esistenti, il mondo degli autonomi, gli effetti della riforma Fornero, le regole del licenziamento, il mobbing.
Disoccupazione, licenziamenti, cassa integrazione. La vita del lavoratore al tempo della crisi è scandita da queste parole. E mentre la luce in fondo al tunnel sembra ancora lontana, a stare vicino ai lavoratori sono restati i sindacati. I numeri ufficiali dicono che quasi il 54 per cento degli occupati hanno in tasca la tessera di una delle tre maggiori sigle - in ordine di iscritti - Cgil, Cisl e Uil. Ma i sindacati possono ancora trovare soluzioni soddisfacenti per un mondo lavorativo sempre più complesso e piegato dalla crisi?
Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl pensa di sì: “La rappresentanza sindacale non è in declino, anzi. Il sindacato italiano è l’unico che continua a crescere in Europa in termini di iscritti, anche tra i lavoratori attivi e non solo tra i pensionati. Solo che questo dato non fa notizia, perché evidentemente è un fatto che dà fastidio a molti. Per quanto ci riguarda, la Cisl sta rafforzando il suo radicamento sui posti di lavoro, riaffermando la centralità del territorio e della contrattazione. Abbiamo accorpato e dimezzato le nostre strutture provinciali, stiamo unificando ora tutte le nostre categorie, per ridurre gli apparati e stare più vicini ai posti di lavoro. Sposteremo il nostro baricentro nelle aziende, mettendo insieme le nostre competenze, le nostre tecnologie ed il nostro lavoro. Non ci piace un modello di società autorefenziale, verticale, dove i cittadini sono solo dei sudditi che si esprimono solo con il voto, ma riteniamo fondamentale rilanciare il ruolo dei corpi intermedi, di tutte quelle forme associative di rappresentanza organica e di partecipazione che sono il sale della democrazia”.
Allora perché in questi giorni a intercettare il disagio sociale ci sono i Forconi e altre sigle?
“In Italia, così come accade in altre realtà europee, ci sono sacche di ribellismo e di protesta, a volte anche violente. Sono il frutto di una crisi economica e sociale che non ha trovato ancora una ricetta univoca. Ma il ruolo del sindacato confederale non è quello di urlare più forte degli altri o di cavalcare tutti i movimenti spontanei che nascono nel nostro paese. Sarebbe troppo riduttivo e anche controproducente. Noi dobbiamo dare risposte concrete ai lavoratori, fare accordi per difendere i posti di lavoro, costruire le condizioni per favorire nuove assunzioni di giovani e donne. Senza fare demagogia e lontano da sterili ed inutili populismi”.
Matteo Renzi porterà la promessa ventata d'aria fresca nella politica italiana?
“L’elezione di Matteo Renzi è di sicuro un elemento che incentiverà la modernità, anche nel sociale, nel lavoro, nell'economia e nella politica. La Cisl è pronta al confronto con il neo segretario del Pd, per cambiare il nostro paese, affrontando le questioni di una efficace governabilità, dell’economia e del mercato del lavoro a cominciare dal taglio urgente delle tasse per i lavoratori e i pensionati, affrontare con provvedimenti straordinari la mancanza di occupazione per i giovani, le donne e quanti rischiano di perdere il posto, varare una nuova elettorale che restituisca ai cittadini la libertà di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento e nelle istituzioni”.
Il suo decantato job act potrebbe essere quello che serve al nostro Paese?
“Quello di cui abbiamo bisogno è una giusta flessibilità ma con maggiore tutele per i giovani. Ci vogliono incentivi fiscali per le imprese che assumono, per evitare di disperdere questo immenso capitale umano e professionale. Bisogna investire nei settori dell’istruzione e della formazione. Scuola e lavoro devono camminare insieme in un paese moderno per permettere ai lavoratori di adattarsi facilmente alle trasformazioni dei sistemi produttivi e alle nuove tecnologie”.
Quindi è ancora possibile il dialogo tra sindacati e politica?
Bonanni: “Non solo è possibile, ma direi che in questa stagione il dialogo sociale è tanto più essenziale. Ripeto: non si va da nessuna parte da soli. Anche i governi più forti ed autorevoli hanno bisogno del consenso sociale. Noi siamo pronti al confronto con il Governo per tagliare la spesa pubblica improduttiva, destinando le risorse al taglio delle tasse: su questo aspettiamo l’esecutivo alla prova dei fatti. Vedremo se l’ apertura di Letta alle richieste delle parti sociali è un bluff o la reale volontà di cambiare le cose. Ma tutto va fatto in maniera trasparente e con impegni precisi da parte della politica. Dobbiamo stanare chi vuole il cambiamento e chi invece abbaia alla luna solo per coprire il proprio conservatorismo o le rendite di posizione. Ecco perché continueremo a tenere alta la nostra pressione, in sinergia con le imprese, perché da questa crisi si esce solo insieme, con una assunzione collettiva di responsabilità, senza fughe in avanti o proteste sterili dal sapore populistico”.
Dello stesso avviso Mimmo Carrieri, docente di Sociologia economica e del lavoro nell’Università di Teramo e autore di diversi testi sull’argomento: “I governi hanno meno risorse, ma al di là della situazione contingente, c’è uno spazio pressare le istituzioni in favore dei lavoratori. Questo riguarda per esempio i piani per l’occupazione giovanile. Il governo può fare molto per i lavoratori, la previdenza, il salario minimo. Dipende ovviamente dai governi. Il Governo Letta ha dimostrato modesta disponibilità al dialogo”.
Lo sciopero è uno strumento di protesta ancora efficace?
Bonanni: “Lo sciopero è una forma di protesta estrema cui si è costretti a ricorrere quando l’arma del dialogo, del confronto e della concertazione non dovesse portare i risultati sperati. La Cisl lo ha sempre considerato uno strumento da usare con molta cautela e parsimonia. Lo sciopero costa ai lavoratori che hanno buste paga traballanti ed alle imprese. Bisogna pensare a forme di protesta alternative che hanno la stessa efficacia mediatica senza penalizzare i lavoratori ed i cittadini. Ecco perché per tagliare la tasse a favore di lavoratori dipendenti, pensionati, imprese che assumono ed investono, contro la spesa pubblica improduttiva e per destinare le risorse ricavate della spending review e della lotta all'evasione alla riduzione del cuneo fiscale, abbiamo promosso per il 14 dicembre, iniziative a livello regionale mobilitazioni, forme di protesta meno invasive ma ugualmente significative, sapendo che gli imprenditori sono con noi e che su questa battaglia tutto il mondo produttivo è unito”.
Carrieri: "Lo sciopero è un mezzo da usare solo quando è necessario, estremo, quando gli altri strumenti hanno fallito. In Italia c’è l’abitudine di indirlo anche per ragioni dimostrative, cioè per mostrare di avere un seguito. C’è stato un ridimensionamento quantitativo. I più persistenti sono scioperi nei servizi pubblici, tipo i trasporti. Lì anche le piccole organizzazioni riescono a danneggiare utenti e quindi a farsi sentire”.
Perché il lavoratore oggi si sente solo e ha un sentimento di impotenza?
Bonanni: “Perché viviamo in una società dove mancano forme vere di inclusione sociale e di partecipazione attiva dei cittadini. C’è una cultura strisciante basata sull’individualismo e si sottovaluta, anzi si ha una scarsa considerazione, del ruolo dei corpi collettivi in una società complessa come la nostra. Persino la legge elettorale non prevede la scelta dei rappresentanti nelle istituzioni. Anche il sindacato ha le sue colpe, per carità, perché spesso non riusciamo a intercettare concretamente il disagio di molti lavoratori. Ma noi crediamo fermamente nel significato della rappresentanza sociale. Il lavoratore può uscire dalla solitudine se sta insieme agli altri lavoratori, se si associa e lotta insieme agli altri per i suoi diritti. Da soli non si va da nessuna parte. Questo è il punto di partenza del nostro ‘fare sindacato’".
Carrieri: “Dipende dai lavoratori, quali e dove. Non c’è dubbio però, che i lavoratori oggi vedano maggiore difficoltà dell’azione di tutela contrattuale: c’è una spiegazione di lungo periodo: dentro le trasformazioni produttive negli ultimi 25 anni ci sono state meno risorse da distribuire sui lavoratori. Negli ultimi 5/6 anni in Italia poi non c’è inversione di tendenza: si chiede più lavoro senza incentivi, e si perdono molti posti. C’è più che altro senso di insicurezza, più che di solitudine”.
La crisi è diventata l’alibi perfetto per intaccare diritti che fino a poco tempo fa venivano ritenuti intoccabili. Come si esce da questo corto circuito?
Bonanni: “Non è del tutto così. Bisogna intervenire per rendere più favorevoli gli investimenti, bonificando i fattori dello sviluppo, territorio per territorio. Nessuno verrà a investire in Italia se non affronteremo il problema dei costi troppo alti dell'energia, dei trasporti, delle assicurazioni, dello smaltimento dei rifiuti. Per non parlare poi delle tasse locali e nazionali eccessive, delle infrastrutture bloccate dalle lobbies. Ma bisogna anche alzare la produttività del lavoro, perché per competere con gli altri paesi c’è bisogno di una maggiore qualità dei nostri prodotti. Il sindacato deve essere pronto a questa sfida, senza mettere in discussione i diritti fondamentali dei lavoratori. Dobbiamo sostenere l'innovazione tecnologica, il nuovo rapporto industria-ambiente, lo sviluppo dell'economia verde e delle biotecnologie. Possiamo fare di più per la valorizzazione dei nostri beni culturali, per dare forza al turismo, alle nostre risorse ambientali ed agroalimentari, con interventi mirati sull'istruzione, la ricerca pubblica e privata”.
Carrieri: “Serve un grande compromesso che riesca a rilanciare lo sviluppo e a trovare dentro questo sviluppo diritti per i lavoratori. Non si esce dalla crisi contenendo il debito pubblico e tagliando i costi delle aziende. Bisogna invece rivitalizzare l’impresa e fare qualcosa di più ambizioso, riqualificare il lavoro, rimettere a fuoco la produzione. Le grandi organizzazioni hanno dato segno di buona volontà (si veda per esempio il patto per lo sviluppo), ma serve anche la mobilitazione diffusa, un vero patto tra imprese e lavoratori per rilanciare la crescita”.
Come rappresentare i lavoratori non standard?
Bonanni: “Come Cisl abbiamo una categoria, la Felsa, che rappresenta migliaia di giovani con la partita iva, ex collaboratori a progetto e con il contratto di somministrazione. Il precariato non si combatte con gli slogan o con il populismo, ma con atti concreti. Il lavoro stabile per i giovani può venire solo da una buona economia e non con nuove leggi. Per evitare che la flessibilità si traduca in precarietà, occorrono maggiori protezioni e maggiori tutele sul mercato del lavoro e incentivi fiscali alla trasformazione in rapporti a tempo indeterminato. La proposta della Cisl è di pagare di più e di dare più tutele previdenziali a chi accetta di essere flessibile. In Italia avviene esattamente il contrario. Questa è la nostra battaglia. Servizi efficaci di formazione, assistenza, informazione e incentivi fiscali alle imprese possono favorire la ricerca di un rapporto di lavoro stabile”.
Carrieri: “I loro diritti non sono mai stati promossi, a prescindere dalle maggioranze di governo, e di questo hanno responsabilità i sindacati che hanno messo al primo posto i lavoratori standard, più anziani, i pensionati. Serve un’azione decisa dei sindacati: devono riformarsi come organizzazione mettendo più dirigenti giovani e mettendo nella loro agenda negoziale questioni che riguardano i giovani".