Cos'è, quali sono le norme di riferimento e i trucchi per riconoscere uno stage che porterà ad assunzione. Gli esperti: "Ci sono tanti segnali che indicano quando l'azienda vuole solo un dipendente a basso costo"
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Un esercito silenzioso ogni giorno spulcia gli annunci, manda il proprio curriculum, spera, se non in un contratto, quantomeno in un colloquio, infine, resta senza impiego e stipendio. È l’esercito formato dai 3 milioni e 127 mila disoccupati italiani. Tgcom24 sta esplorando il mondo dell'occupazione per capire come districarsi tra inserzioni introvabili, contratti sibillini, selezionatori incontentabili e abusi delle aziende. Dopo aver analizzato quanti posti ci sono, gli errori di chi si propone per una posizione, le potenzialità del web e il mondo della pubblica amministrazione, oggi affrontiamo la giungla degli stage.
Salvatore Sìmmini ha 28 anni ed è un ingegnere delle telecomunicazioni. Si è laureato, ha fatto uno stage di sei mesi in una multinazionale dell’informatica e al termine del tirocinio è stato assunto con un contratto della durata di un anno. Fantascienza? Raccomandazione? Fortuna? No, ha semplicemente seguito quello che dovrebbe essere il percorso standard previsto per i giovani laureati che si affacciano al mondo del lavoro. Dal canto suo ci ha messo un’ottima preparazione e molto entusiasmo, l’azienda la voglia di investire su un giovane talento.
Le tante facce dello stage
Perché la sua esperienza ha avuto questo esito positivo e si è trasformata in un lavoro vero e proprio a differenza di quanto lamentano tanti ragazzi che dicono di essere sfruttati ad oltranza dalle aziende ospitanti e di macinare stage su stage senza risultati duraturi? Innanzitutto perché quello di Salvatore era uno stage volto all’inserimento, che aveva, cioè, come obiettivo l’individuazione di un futuro dipendente. E proprio su questo obiettivo nascono le confusioni maggiori da parte degli stagisti.
Come spiega a Tgcom24 Eleonora Voltolina, fondatrice e direttrice della testata online “Repubblica degli stagisti”, “ci sono stage curriculari ed extracurriculari, di formazione, di orientamento oppure di inserimento. La fama negativa dello stage deriva dal vizio di confondere le diverse tipologie. Lo studente che fa due mesi di stage estivo e vuole essere assunto chiede allo stage un obiettivo che questo non ha”.
Le aziende in effetti accolgono giovani volenterosi ma inesperti essenzialmente per due motivi: coprire un “buco” nel proprio organico spendendo poco o addirittura a costo zero (e in questo caso si parla di stage rolling, cioè a rotazione continua e senza speranza di assunzione), oppure individuare un futuro dipendente (e questo è il caso dello stage volto ad assunzione). In tutti e due i casi lo stagiaire imparerà qualcosa che non sapeva, ma se l’obiettivo è portare a casa un contratto, meglio chiarire subito le cose con la ditta ospitante ed evitare spiacevoli sorprese a fine percorso.
Cos’è lo stage
Il primo passo da fare è allora un chiarimento lessicale: cos’è esattamente lo stage e quali le norme di riferimento? Lo stage in azienda costituisce la fase pratica dello studio, finalizzata a far conoscere la realtà aziendale e a far acquisire gli elementi concreti di una certa attività. La dicitura “tirocinio formativo e di orientamento” è la definizione legale di quello che viene comunemente indicato come “stage” quindi le due espressioni sono del tutto equivalenti.
La prima distinzione da fare è tra stage curriculari, cioè inclusi in un processo di apprendimento svolto all’interno di un’università o un’istituto scolastico, e non curriculari.
In entrambi i casi il processo di stage richiede l'incontro di tre soggetti: il tirocinante, l'azienda e l'ente promotore. Lo stage non è mai considerato rapporto di lavoro subordinato, cioè non è lavoro per sua definizione: è un’occasione per imparare, mettersi alla prova e farsi vedere dai potenziali futuri datori di lavoro. In luogo del contratto quindi, le finalità specifiche dello stage vengono definite dal cosiddetto progetto formativo.
Come ben sintetizza Eleonora Voltolina, “la vita dello stagista italiano è difficile o, meglio, confusa perché confuso è il quadro normativo di riferimento. Gli stage curriculari attivati un giorno prima della laurea sono di competenza statale, quelli attivati il giorno dopo la laurea sono di competenza regionale perché sono stage extracurriculari. A oggi i tirocini curriculari sono in vacatio legis: non c’è una legge su questo argomento. Gli stage extracurriculari invece, sono regolati da 20 diverse normative regionali”.
I tipi di stage I tirocini curriculari sono tutti gli stage attivati durante la scuola e l’università e devono soddisfare i requisiti di coerenza con il percorso formativo dello studente infatti sono inclusi nel piano di studio degli atenei e degli istituti superiori. Sono promossi per realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro. Questa prima tipologia di tirocinio è oggi sotto la potestà normativa dello Stato, ma come rileva Eleonora Voltolina, “al momento c'è un buco nero: una vacatio legis gravissima, che riguarda un numero impressionante - e non ben definito di giovani ogni anno. Studenti di scuole superiori (pochi), studenti universitari (moltissimi), studenti di master e corsi di formazione”.
Nel calderone degli stage extracurriculari ci sono invece:
- I tirocini formativi e di orientamento: finalizzati alla transizione dei giovani, neodiplomati o neolaureati, dalla scuola al mondo del lavoro. Svolti da soggetti che abbiano conseguito un titolo entro e non oltre i 12 mesi, finalizzati ad agevolare le scelte professionali e l’occupabilità dei giovani nella transizione scuola lavoro. Non possono durare più di sei mesi dentro uno stesso contesto ospitante.
- I tirocini di inserimento/reinserimento: finalizzati alla collocazione o ricollocazione di inoccupati e disoccupati, anche in mobilità, nonché a beneficiari di ammortizzatori sociali sulla base di specifici accordi in attuazione di politiche attive del lavoro. Non possono durare più di dodici mesi.
- I tirocini in favore di disabili, persone svantaggiate e richiedenti asilo politico o titolari di protezione internazionale: sono di orientamento e formazione oppure di inserimento/reinserimento. Un’ultima tipologia a sé stante è quella dei tirocini finalizzati allo svolgimento della pratica professionale e all’accesso alle professioni che fanno capo a un ordine. Tali periodi di praticantato richiesti dagli ordini professionali restano disciplinati da normative di settore (per esempio gli psicologi).
La normativa Gli stage extracurriculari sono soggetti a norme diverse da regione a regione e alle seguenti normative nazionali:
- Legge 24 giugno 1997 n. 196: il cosiddetto "Pacchetto Treu" all'art.18 disciplina i tirocini formativi e di orientamento; al comma 1 dalla lettera a) alla lettera i) vengono definiti i principi e i caratteri generali.
- Decreto Ministeriale 25 marzo 1998 n. 142: definisce le modalità di attuazione dell'art. 18 della Legge 196/97 ed introduce una disciplina regolamentare in materia di tirocini formativi e di orientamento. In particolare stabilisce la finalità dei tirocini formativi e ne indica le modalità di attivazione mediante "convenzione di tirocinio" e "progetto formativo”.
- Legge 24 settembre 2011 n. 148 di conversione in legge con modificazioni del D.L 13 agosto 2011, n.138 - L’articolo 11 della L.148/2011, che si applica soltanto ai tirocini extracurriculari dispone che gli stage extracurriculari possono: essere svolti da diplomati o laureati entro 12 mesi (non più 18 mesi) dal conseguimento del titolo; avere la durata massima di sei mesi comprese le proroghe (non più 12 mesi).
- Corte Costituzionale, Sentenza n. 287, 2012: i tirocini formativi e di orientamento non curriculari vengono riconosciuti di competenza normativa residuale delle Regioni.
- Circolare del Ministero del Lavoro n. 24, 12 settembre 2011: viene ribadito che gli stage curriculari, ossia gli stage svolti da studenti iscritti a qualsiasi corso di studi, sono di competenza statale.
-Legge 28 giugno 2012 n. 92: più nota come “Riforma Fornero”: introduce l’obiettivo di “prevenire e contrastare un uso distorto dell'istituto” e rimanda alla Conferenza Stato-Regioni la “definizione di linee-guida condivise in materia di tirocini formativi e di orientamento” compresa la fissazione di una “congrua indennità”.
- Linee guida in materia di tirocini, 24 gennaio 2013: sono state stilate dalla Conferenza Stato-Regioni e rappresentano uno standard "minimo". Ferma restando la potestà legislativa regionale, l'indennità di partecipazione è stata fissata in 300 € mensili, ma l'accordo deve ancora essere recepito dal alcune Regioni.
Lo stagista ha diritti? Secondo la direttrice della “Repubblica degli stagisti”, “il primo diritto è quello ad avere un tutor sia da parte dell’azienda ospitante (è la figura che praticamente deve insegnargli il mestiere) sia da parte del soggetto erogante (è il referente se qualcosa non va bene durante il tirocinio). Un altro diritto è quello ad avere orari accettabili, non notturni, senza straordinari, diciamo intorno alle 40 ore settimanali. Sulla questione del rimborso, invece premetto che non è ancora obbligatorio in tutte le regioni. Ma quando c’è ed è sostanzioso vuol dire che l’azienda sta investendo molto su quel ragazzo e sta pensando di assumerlo. Quando invece, non c’è alcun rimborso è probabile che l’azienda stia impiegando la risorsa come un kleenex usa e getta.
Gli abusi È ancora Eleonora Voltolina a fare la ricognizione completa sugli abusi che lo stagista può vivere: “Non ci sono soltanto le mansioni dequalificanti come ritirare la giacca del capo in lavanderia, ma anche le eccessive responsabilità sono sbagliate: il tirocinante non può avere la stessa autonomia di un dipendente a tutti gli effetti, ma deve lavorare sotto sorveglianza del tutor. Si può verificare anche che i compiti assegnati al ragazzo siano completamente diversi dal progetto formativo stipulato e/o troppo distanti dalla formazione pregressa dello stagista: se hai una formazione da comunicatore non ti possono chiedere di fare calcoli da fine matematico.
Ci sono poi gli stage per le mansioni di profilo troppo basso: la legge non vieta lo stage per alcun settore, ma il buonsenso vuole che non serve un tirocinio per imparare a fare l’addetto alla pompa di benzina. Se l’azienda ospitante cerca queste figure è probabile che voglia pagare proprio un dipendente a tutti gli effetti. Pure i vincoli di orario troppo stretti devono mettere in guardia: uno stagista non può mai essere considerato indispensabile all’interno del luogo di lavoro e quindi l’azienda non dovrebbe fare affidamento su di lui per nessuna attività cruciale. Anche la presenza di troppi stagisti e per periodi troppo lunghi può togliere qualità all’esperienza di tirocinio. Infine ci sono gli stage del tutto sterili e inutili, quando la risorsa viene relegata in un angolino e abbandonata a se stessa”.
Chi controlla Se la vituperata riforma Fornero ha avuto un merito, secondo Eleonora Voltolina è quello di spingere “verso il controllo e la sensibilizzazione le direzioni territoriali del lavoro che oggi devono vigilare pure sugli stagisti. Ma devono fare i conti con la vacatio legis per i tirocini curriculari e con un sacco di norme differenti se sono extracurriculari. Insomma, l’ex ministro ha posto il tema del controllo ma non ha fatto niente in maniera concreta perché si è scontrata con una situazione in cui le regioni andavano avanti a colpi di ricorsi per ottenere la conferma della propria competenza esclusiva in tale materia. Quando Elsa Fornero andò da Fabio Fazio a dire ‘mai più stage non retribuiti e ragazzi sfruttati’, poi si è dovuta scontrare con le regioni che non volevano un intervento statale in materia di stage. A dicembre 2012, quando il Governo Monti era agli sgoccioli è arrivata una sentenza delle Corte Costituzionale che ha dato ragione alle regioni: lo Stato non può legiferare in questo ambito. L’articolo della riforma Fornero in materia di tirocini ha avuto come seguito un tavolo costituito in seno alla Conferenza Stato-Regioni che ha prodotto un testo, le linee guida sui tirocini extracurriculari, e a quel punto le regioni si sono date sei mesi di tempo per recepire quelle linee guida. Ma tali linee non sono vincolanti quindi ogni regione le ha adattate a modo suo”.
Cosa fare se lo stage va male? Se le direzioni territoriali del lavoro possono fare poco per arginare gli abusi in questa materia, come muoversi quando qualcosa va storto? Eleonora Voltolina consiglia di rivolgersi subito al tutor aziendale: “Se questa persona è solo una firma sul progetto formativo bisogna andare dal tutor dell’ente promotore. Infine, nei casi più gravi di sfruttamento si può andare al sindacato. Quando si profila un vero e proprio sfruttamento dello stagista che maschera del lavoro dipendente ci si può rivolgere all’ispettorato del lavoro. È l’intervento più forte perché non vengono accettate denunce anonime, e anche se viene poi tutelato l’anonimato della segnalazione, è facile risalire alla persona che ha fatto la segnalazione. In quest’ultimo caso può partire un’azione giudiziaria che porta all’assunzione forzata o al rimborso della retribuzione mancata, ma ci vogliono anni per arrivare alla sentenza e poi è meglio evitare situazioni di conflitto. Tranne ovviamente quando ci sono abusi gravi. La misura invece, da adottare sempre e che può avere effetti immediati è la relazione di fine stage al soggetto promotore. Si mettono nero su bianco le criticità del tirocinio così i soggetti promotori possono decidere di non attivare più stage presso quell’azienda o addirittura chiudere la convenzione”.
Perché pochi stage portano all’assunzione? Secondo il rapporto Excelsior redatto da UnionCamere e Ministero del Lavoro, nel 2011 sono stati attivati 307 mila tirocini in 215 mila aziende private. Ma di questi soltanto il 10,6 per cento ha dato poi luogo a un rapporto di lavoro. Troppo pochi? No, secondo Voltolina: “Forse abbiamo poche assunzioni post stage perché sono troppi gli stage stessi. C’è una parte consistente di tirocini patologici: le imprese li usano in abbondanza per sostituire ogni sei-deici mesi un dipendente con uno o più stagisti a ciclo continuo. E non si tratta soltanto di un vizietto del settore privato, ma anche del pubblico. Gli uffici giudiziari, per esempio, fanno così: addirittura emettono comunicati stampa in cui dicono che usano i tirocinanti per sostituire il personale che non possono assumere causa austerity. Bisognerebbe avere il coraggio di ridurre il numero di stagisti. La maggior parte dei tirocini sono caratterizzati da grande opacità: l’informazione è l’arma che i ragazzi possono difendersi dalle situazioni ambigue e dagli abusi”.
Marina Verderajme, presidente di Sportello Stage Actl, incoraggia a leggere il fenomeno in maniera critica: “Non si tratta di numeri significativi perché raccolgono stage di tipologie differenti. Invece se si pensa al tasso di assunzione post tirocinio bisogna considerare soltanto gli stage extracurriculari di orientamento e formazione e soprattutto quelli di inserimento. Se si guarda solo a questi ultimi, il tasso di stagisti assunti schizza al 38 per cento nei primi sei mesi di quest’anno”.
E il restante 60 per cento degli stage che non diventano lavoro che fine fanno? Spiega Verderajme: “In quei casi l’azienda non ha una posizione da offrire al tirocinante. Oppure i tirocinanti interrompono lo stage per imboccare altre strade: seguire un master, andare all’estero, provare una funzione o un’azienda diverse. Per uscire da questa spirale degli stage che restano vicoli ciechi, dobbiamo convincere le aziende che a trasformare il tirocinio in apprendistato ci guadagnano: ci sono sgravi fiscali, costi ridotti, e un inserimento per i giovani facilitato”.