Sarti, camerieri, panettieri, falegnami e macellai: secondo l'istituto nazionale di statistica sono 150mila i lavori disponibili che però nessuno è disposto a fare
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In Italia manca il lavoro? Non secondo l'Istat. Nel nostro Paese ci sono circa 150mila posti per impieghi che nessuno cerca o vuole fare. I dati, pubblicati dall'istituto nazionale di statistica in riferimento al 2012, controbilanciano in qualche modo l’allarme lanciato dalla Bce in merito al tasso di disoccupazione "che alla fine dello scorso anno ha raggiunto livelli senza precedenti nell’Eurozona".
L’ultima indagine della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ha passato in rassegna i diversi tipi di impieghi per i quali sul mercato non c’è domanda, ma un’altissima offerta e tra le professioni dimenticate spuntano quelle del sarto, del panettiere e del falegname, e poi installatori di infissi, pasticceri, baristi, camerieri e macellai. Si tratta di lavori manuali che richiedono fatica e turni anche in notturna, oppure un percorso lungo ed impervio prima di diventare esperti, ma che in ogni caso assicurano forti guadagni e la possibilità di lavorare anche autonomamente.
La ricerca ha analizzato il profilo di questi 3 milioni di lavoratori inattivi (+2,7% rispetto al 2011), che si dicono disposti a lavorare, ma che in realtà non si adoperano per cercare un’occupazione. Dall’analisi risulta che gli inattivi si dividono in “scoraggiati”(1,3 milioni, il 43% del totale), che dichiarano di non cercare lavoro perché convinti di non trovarlo, ed inattivi "choosy" (111mila nel 2012), che invece cercano, ma non sono disposti ad accettare qualsiasi tipo di impiego.
Non passano in secondo piano nemmeno quelle professioni difficili da reperire perché presuppongono un percorso formativo il cui accesso è a numero chiuso o perché poco attrattive. È il caso dei tecnici informatici (il 24%) e degli operai specializzati (il 33%).
Mentre l’Italia pullula di giovani laureati che non corrispondono al livello produttivo reale, rischiano di scomparire attività che caratterizzano il nostro “made in Italy” di qualità. I consulenti del lavoro denunciano la criticità di questa situazione, che ci vede costretti ad importare dall’estero numerosi lavoratori specializzati in questi mestieri che nessuno nel nostro Paese vuole fare, portando di conseguenza alla diminuzione del livello di professionalità degli italiani e all’incremento del tasso di disoccupazione.