La guerra dei prezzi

Petrolio ai minimi: quali le prospettive di crescita mondiale?

La guerra dei prezzi condiziona gli scenari macroeconomici. Nel lungo periodo il crollo del petrolio potrebbe non essere così favorevole

15 Gen 2016 - 10:25

    © ap-lapresse

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Quali conseguenze più immediate dovremo attendere dalla guerra dei prezzi del petrolio? È una domanda piuttosto frequente in questi giorni, molto più dopo che il prezzo del greggio è sceso al di sotto della soglia psicologica dei 30 dollari al barile (la prima volta da aprile 2004). Tanto per cominciare una crescita globale più fiacca rispetto alle attese, ma procediamo con ordine.

In verità c'è chi sta beneficiando dell'andamento al ribasso del petrolio (inasprito ora, ricordiamo, dalla fine delle sanzioni all'Iran, tra i maggiori produttori mondiali). Tra questi la Germania, che dopo un momento di appannamento sembra ora risalire la china. Secondo la Bdi (la Confindustria tedesca) la crescita prevista per il 2016 sarà del 2%, sostenuta dal consolidamento di fattori quali il prezzo basso del petrolio, i tassi su valori minimi, circostanze che potranno facilitare l'export della Germania.

In generale è l'andamento dei consumi che può trovare riscontri positivi da tale situazione, vista la diminuzione del costo dei carburanti. Non in Italia, però, dove la componente fiscale ha un peso decisamente maggiore rispetto a quella industriale al punto da limitare i vantaggi in questo senso (inoltre sono previsti aumenti delle accise fino al periodo 2019-2021).

Ma nel lungo periodo il contesto potrebbe non essere più così favorevole. Il prezzo al ribasso del petrolio è dipeso, anche, dalla domanda debole negli anni della crisi economica. L'effetto più immediato, per i paesi consumatori, è la convenienza nell'acquistare la materia prima a costi vantaggiosi. Ma le ripercussioni sulla crescita globale potrebbero in futuro non essere altrettanto positive, perché gli stessi produttori non ne gioverebbero granché.

Insomma, il perdurare della discesa dei beni energetici e un'inflazione alquanto bassa – distante, cioè, dall'obiettivo del 2% cui mirano le banche centrali – potrebbero comportare minori prospettive di crescita, oltre che non eliminare del tutto un nuovo rischio deflazione (ovvero una riduzione generale dei prezzi).

Intanto il Pil dell'area Ocse ha registrato nel terzo trimestre del 2015 una crescita dello 0,5%, in lieve rallentamento sul periodo precedente quando si era attestata a +0,6%. Il contributo è giunto soprattutto dai consumi privati, per un valore pari a +0,4%. Il tasso di disoccupazione dell'area, invece, è rimasto stabile nel mese di novembre 2015, al 6,6%.

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