L'ecosistema marino, già sfruttato, vede sottrarsi risorse per motivi estetici. Ecco le alternative
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Mentre le star pur di diventare sempre più belle sono disposte a iniettarsi veleno di vipera o a impiastricciarsi il viso con escrementi di usignolo, le comuni mortali - che i prodotti di bellezza li comprano al supermercato - si trovano sommerse da quintali di proposte di alghe e minerali marini, piante di costa, fanghi salati, conchiglie, gusci, pesci e uova di pesce. Ma qual è il prezzo per gli ecosistemi marini?
L'uso cosmetico di ingredienti ricavati da coste, fondi marini e oceani rischia di compromettere l'equilibrio marino, già sfruttato in modo intensivo dall'industria alimentare.
Allevamento, acquacoltura e laboratorio
Per ovviare al problema, le industrie cosmetiche più attente alla sostenibilità ambientale si rivolgono a produttori alternativi di ingredienti marini, secondo l'ultimo rapporto di Organic Monitor, società inglese di ricerche di mercato specializzata in rispetto dell'ambiente.
Le implicazioni ambientali delle risorse marine e gli esempi di buone pratiche delle aziende del settore saranno uno dei temi del Forum per la sostenibilità cosmetica, in programma a Parigi il 21 novembre.
Gli ingredienti marini sempre più richiesti dalle industrie della bellezza possono essere ottenute anche da sistemi di allevamento e acquacoltura. Questo, per esempio, il caso dei salmoni impiegati della norvegese AquaBioTechnology o le alghe della tedesca OceanBasis, coltivate nel Mar Baltico. Nuovi ceppi di alghe ricche di vitamine e minerali messe a punto per applicazioni cosmetiche sono state appena create anche nei laboratori dell'azienda americana Heliae, invece che strappate dal mare. Infine società come Lipotec e BitechMarine sfruttano processi di biotecnologia per raccogliere attivi di bellezza da risorse marine.