Il ceo del marchio italiano, Biagio Chiarolanza: "Azienda aveva acquistato poche quantità di camicie da un produttore che lavorava nella fabbrica della morte"
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Dopo giorni di mezze verità e indiscrezioni, Benetton esce allo scoperto. Il gruppo ha ammesso che la ditta coinvolta nel crollo in Bangladesh lavorava in subappalato per un fornitore del marchio. L'incidente è costata la vita a oltre 900 persone. Quasi tutti lavoratori a basso costo. Un tremore che dal Bangladesh è arrivato fino in Italia. Dopo le smentite infatti il ceo Biagio Chiarolanza ha confermato che il gruppo aveva "un fornitore di camicie".
La giustificazione dell'azienda è abbastanza plausibile, ed è data dal fattore globalizzazione. La Benetton "opera in 120 paesi del globo e lavora con 700 produttori, e i fornitori spesso esternalizzano il lavoro, quando è necessario", scrive l'Huffington post. In realtà, spiega Chiarolanza: "La New Wave Style (la casa tessile crollata, ndr), al momento del disastro, non era uno dei nostri grossisti, ma uno dei nostri fornitori diretti in India aveva subappaltato due ordini all’azienda".
Con l'azienda indiana, la Benetton - assicura il gruppo - aveva firmato un codice di condotta. Oltre il codice, però, spesso non vengono fatte altre indagini sociali. Le aziende così si trincerano dietro la firma di un rapporto per non disturbare il proprio senso di responsabilità. Di certo le foto dell'Associated Press che, mostravano il marchio Benetton tra le macerie del Bangladesh, non devono essere state una bella pubblicità.