La notizia della scomparsa del leader della Cirenaica è stata confermata da fonti diplomatiche
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Il generale libico Khalifa Haftar, comandante dell'Esercito nazionale, è morto nell'ospedale parigino dove era stato ricoverato per un'emorragia cerebrale. Lo riportano diversi organi di informazione libici, che citano fonti diplomatiche. L'Esercito nazionale libico invece per il momento ha smentito la notizia. Da giorni si rincorrevano voci di un aggravamento delle sue condizioni di salute.
Il decesso del generale è stato confermato al "Libya Observer" da fonti diplomatiche, mentre la tv libica "Alnabaa" ha citato un membro della Camera dei rappresentanti di Tobruk. La notizia è stata data anche dal "Libya Express", senza citare fonti. La notizia della morta è stata confermata anche da fonti delle autorità di Tripoli all'agenzia di stampa russa Ria: "Siamo stati informati del suo decesso", hanno spiegato le fonti senza fornire ulteriori dettagli. Contattato dalla Ria, l'Esercito nazionale libico ha tuttavia smentito la notizia della morte, come aveva fatto nei giorni scorsi riguardo al suo ricovero in ospedale a Parigi. A rendere la situazione ancora più ingarbugliata ci ha pensato l'Usmil, la missione Onu in Libia, che in serata ha twittato che "L'inviato dell'Onu Ghassam Salamè ed il feldmaresciallo Khalifa Haftar hanno parlato oggi per telefono ed hanno discusso della situazione generale in Libia e gli ultimi sviluppi politici nel Paese". Una smentita, seppure indiretta, è arrivata poi dal capo del parlamento di Tobruk, nell'est dalla Libia, di fatto il contropotere che si divide con Tripoli la leadership nel paese nordafricano. Secondo il sito Al Wasat, Aqila Saleh avrebbe avuto "contatti" con Haftar ed avrebbe smentito di aver già nominato un suo successore alla guida delle forze armate.
Quello che è certo è che se la morte di Haftar alla fine fosse confermata, getterebbe ulteriore incertezza sul già complicatissimo quadro libico. L'eventuale uscita di scena del generale della Cirenaica, la parte est della Libia, apre infatti scenari inesplorati: senza la sua ingombrante presenza, rischia di frantumarsi la coalizione di forze che aveva creato senza peraltro indicare un possibile successore. Coalizione, collegata al parlamento di Tobruk, che il generale ha spesso contrapposto al governo di Tripoli, guidato dal premier Fayez Al Sarraj e riconosciuto dalla comunità internazionale.
L'ambizione del 75enne Haftar era quella di fare il leader: dal 2014 - in parallelo con il percorso del presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi - aveva assunto il ruolo di castigatore di jihadisti e Fratelli musulmani, che ha cacciato da Bengasi in maniera completa a dicembre. Ma controllava anche buona parte del Paese grazie ad appoggi di alleati stranieri - Emirati Arabi Uniti ed Egitto in testa - che gli hanno consentito di conquistare pure alcuni strategici terminal petroliferi.
Era stato fra gli ufficiali che aiutarono Muammar Gheddafi ad abbattere re Idris nel 1969 ma poi il colonnello-rais lo scaricò quando il militare si fece catturare in Ciad nell'87: da lì Haftar guidò un fallito golpe sostenuto dalla Cia per abbattere Gheddafi e finì a vivere per due decenni da esiliato in un sobborgo della Virginia, diventando pure cittadino naturalizzato americano. Il legame con gli Usa era stato rinverdito di recente, oltre che da incontri ad Amman, con un via libera al ritorno della Cia a Bengasi. L'Esercito nazionale libico (Lna), di cui era "comandante generale", pur presentandosi come perfettamente inquadrato resta un mix di milizie e reparti regolari. Una formazione pero' abbastanza forte da spingersi a controllare anche tratti del deserto meridionale della Libia, un altro teatro di potenziale caos. A livello politico, a Parigi l'anno scorso firmò un accordo per tenere elezioni presidenziali entro quest'anno: una possibilità ormai fattasi remota. E sebbene gli venissero ascritte velleita' di candidatura, la sua concezione del paese orfano di Gheddafi era - ancora un volta sulla falsariga di Sisi - pessimista: "La Libia di oggi non è matura per la democrazia", che potrà essere sperimentata "forse da future generazioni", disse ancora in marzo al settimanale Jeune Afrique.