Vagava nella foresta, due anni fa era stata sequestrata assieme ad altre 275 ragazze
L'incubo è finito per almeno una delle oltre 200 studentesse nigeriane rapite due anni fa dai Boko Haram. La 19enne Amina Ali Nkeki è stata ritrovata nella foresta da un gruppo di auto-vigilanza locale, traumatizzata main buone condizioni, e con un bambino, forse suo figlio. Faceva parte delle 276 studentesse della scuola superiore di Chibok, nello Stato nord-orientale del Borno, presa d'assalto dal gruppo jihadista il 14 aprile 2014.
Poche ore dopo il sequestro, decine di studentesse riuscirono a fuggire, ma di 219 non si seppe più nulla fino al mese scorso, quando un video mostrò le immagini di alcune di loro ancora in vita.
Secondo le prime ricostruzioni la ragazza è stata ritrovata da un gruppo di milizie civili in cerca di legna mentre vagava nella foresta di Sambisa, considerata la roccaforte dei Boko Haram. Con lei c'era un bambino di pochi mesi ed un uomo, arrestato, perché ritenuto il jihadista a cui Amina era stata concessa in sposa, in nome della sua fedeltà alla causa.
Dopo il ritrovamento, la giovane è stata riportata nel villaggio natale di Mbalala, vicino a Chibok, per riabbracciare la madre, ma non il padre, morto subito dopo il suo sequestro. Secondo il medico di famiglia, Amina ha raccontato alla madre che alcune delle sue compagne di sventura sono morte e che altre sono ancora nelle mani dei terroristi.
La vicenda delle studentesse di Chibok aveva ha messo le autorità nigeriane sotto forte pressione, sull'onda della commozione internazionale che ha portato tra l'altro alla campagna "bring back our girls" su Twitter, alla quale avevano aderito anche Michelle Obama e la pakistana Malala Yousafzai, Premio Nobel per la pace. E i fallimenti del governo e dell'esercito su questo fronte sono stati probabilmente all'origine della sconfitta elettorale del presidente Goodluck Jonathan lo scorso anno.
Si ipotizza che Boko Haram abbia rapito molte migliaia di ragazzi e ragazze nella sua guerra di indipendenza dallo Stato centrale, in nome dell'autoproclamato Califfato islamico, che in sette anni ha provocato oltre ventimila morti. L'esercito, sostenuto anche da una coalizione multinazionale, è riuscito progressivamente a cacciare i terroristi dalle città, costringendoli a rifugiarsi nella foresta. La risposta, però, è stata il sempre più massiccio ricorso agli attentati kamikaze contro obiettivi civili.