settant'anni fa la liberazione

25 Aprile, una festa per tutti

A settant'anni di distanza l'Italia è diversa da come i partigiani se l'erano immaginata, ma la loro eredità è un bene prezioso. Un'eredità nel segno della libertà che vive nella Costituzione. Ecco perché ha ancora senso festeggiare la Liberazione

di Domenico Catagnano
24 Apr 2015 - 00:00
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Giordano Cavestro non aveva nemmeno 15 anni quando, nel 1940, iniziò a fare attività antifascista a Parma. Dopo l'8 settembre si unì ai partigiani, Mirko era il suo nome di battaglia. Catturato dai nazifascisti nell'aprile del 1944, fu fucilato il mese dopo. "Tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata ma sono sicuro che servirà da esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà", scrisse ai compagni di lotta prima di morire.

Antonio Brancati era siciliano, di anni ne aveva 23. Era iscritto alla facoltà di medicina. Allievo ufficiale in Fanteria, dopo l'armistizio diventò partigiano in Toscana. Fu fucilato nel 1944 assieme a dieci compagni. "Sono stato condannato a morte per non essermi associato a coloro che vogliono distruggere completamente l'Italia. Vi giuro di non aver commessa nessuna colpa se non quella di aver voluto più bene di costoro all'Italia, nostra amabile e martoriata Patria. Se muoio, muoio innocente", scriveva ai suoi genitori.

Irma Marchiani, Anty in battaglia, aveva 33 anni quando fu fucilata nel 1944 dopo essere stata catturata sull'Appennino Modenese. "Ho sentito il richiamo della Patria per la quale ho combattuto: ora sono qui fra poco non sarò più, muoio sicura di aver fatto quanto mi era possibile affinché la libertà trionfasse", scriveva alla sorella poco prima dell'esecuzione.

A settant'anni di distanza, basta leggere queste e altre lettere dei condannati a morte della Resistenza, da tempo raccolte in un libro, per cogliere il senso più autentico del 25 Aprile. Un senso che si alimenta di queste testimonianze ma che non può farci cadere nell'errore di fare una divisione netta, con l'accetta, per dire che da una parte stavano tutti i buoni e dall'altra tutti i cattivi. La storia di quegli anni si compone di tante piccole storie, piccole storie che rendono più complessa l'analisi del periodo bellico. A posteriori è più facile leggere il passato e rendersi conto di quello che è accaduto, ma noi che non c'eravamo cosa avremmo fatto in quel settembre del '43, chi avremmo appoggiato? E cosa ha spinto i nostri nonni a fare una scelta piuttosto che un'altra? Genuini ideali, voglia di rivalse personali o semplici opportunismi?

Per quasi due anni gli italiani hanno combattuto una sanguinosa guerra civile. Repubblichini di Salò contro partigiani provenienti da aree politiche diverse: comunisti, socialisti, liberali, cattolici, anarchici, repubblicani, persino monarchici. Gli uni appoggiati dai tedeschi, gli altri dagli anglo-americani. Molti furono inoltre i militari italiani che si unirono alla guerriglia contro i nazifascisti, il loro ruolo e il loro valore è stato a lungo dimenticato.

Non sappiamo cosa sarebbe successo se avessero vinto i primi, sappiamo che la vittoria dei secondi ha portato a una Costituzione moderna, viva, una Carta che ha fatto riemergere diritti e libertà soffocati durante la dittatura del ventennio. E proprio in nome di questa ritrovata libertà di agire e di pensare diventa una forzatura considerare la Liberazione come una festa "di tutti". La nostra Costituzione ci ha dato la possibilità di scegliere, quella stessa possibilità che era stata negata negli anni del fascismo, dove chi non si allineava pagava con l'olio di ricino, col carcere, col confino o con la vita.

Il 25 Aprile non è quindi "di tutti" ma è "per tutti", perché anche la scelta di chi non pensa sia una data da festeggiare è illuminata da quel "faro di Libertà" che Mirko sognava prima di essere ucciso e che i suoi compagni hanno acceso proprio quel giorno di settant'anni fa. In quest'ottica anche la pacificazione, nonostante siano trascorsi parecchi anni, non è un obbligo, è più una "questione privata", per dirla con Fenoglio, una scelta libera che spetta a chiunque si misuri con i fatti di quel periodo, che è necessario conoscere per leggere meglio il presente.

La memoria di quanto successo durante la Seconda guerra mondiale deve rimanere viva, specialmente per i più giovani, per non commettere gli stessi errori del passato. I regimi si nutrono di ignoranza e l'ignoranza genera mostri. Con tutti i suoi problemi, con le speranze tradite e con un futuro pieno di incertezze, l'Italia non è diventata quella che i partigiani avevano immaginato, ma è un Paese libero. Affrontare la storia che verrà con lo stesso amor patrio, la stessa passione politica, lo stesso spirito di quel 25 Aprile di rinascita è il migliore augurio che possiamo farci. Un augurio, anch'esso, per tutti.

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