Riconoscono i picchi glicemici e sono in grado di lanciare l'allarme quando riscontrano una variazione. Un responsabile cinofilo racconta a Tgcom24 l'importanza di questo metodo
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Si chiamano cani “allerta diabete” e hanno una missione: salvare la vita dei loro padroni. Abbaiando o leccando la mano, questi animali sono in grado di riconoscere e segnalare i picchi glicemici, permettendo al soggetto diabetico di riequilibrarsi immediatamente. “Tra le due figure si crea un legame profondissimo, non si tratta di una semplice guida o supporto” spiega a Tgcom24 Roberto Zampieri, dog trainer e fondatore di “Progetto Serena”, onlus di Verona che si occupa di addestrare questi cani.
In che modo i cani percepiscono un picco glicemico?
Grazie al loro senso dell'olfatto. Quando una persona sta per subire una variazione del genere emette una sere di molecole che il cane, grazie a un'apposita preparazione, recepisce in maniera incredibile. A quel punto abbaia o dà un segnale di allerta: grazie a una zampata o alla leccata di una mano il diabetico può “correggersi”, magari con una bustina di zucchero o un succo di frutta. In altri casi l'animale si posiziona su un tappetino che trasmette la richiesta d'aiuto ad altre persone.
Come avviene l'addestramento?
Preferiamo parlare di “preparazione” piuttosto che di addestramento. Non si tratta di semplici cani guida, come quelli che accompagnano i ciechi ad esempio, ma di animali sui quali è stato svolto un lungo percorso di relazione empatica. Essendo il diabete una malattia subdola, l'animale deve anzitutto capire che non c'è una regola: una variazione glicemica può presentarsi all'improvviso, anche nel sonno. La preparazione, che dura due anni ma che dà i primi risultati dopo un paio di mesi, viene svolta a domicilio da un istruttore: tra gli esercizi più tecnici c'è quello di fiutare campioni di saliva. Cane e diabetico lavorano sempre insieme, dal primo giorno di allenamento.
Che requisiti deve avere un cane da allerta diabete?
L'importante è che non superi i cinque anni di età: bisogna tener conto del tempo che serve a prepararlo. La razza invece non conta e può anche essere stato preso dal canile, purché sia in salute e senza problemi fisici o comportamentali.
A maggior ragione se molti dei diabetici che seguite sono bambini.
Assolutamente. Loro sono i più indifesi. L'equilibrio di un diabetico è sempre a rischio, quindi immaginiamo l'apprensione dei genitori mentre il figlio dorme. Le famiglie che hanno il cane dicono di sentirsi più tranquille e, fermo restando che questo metodo non deve in alcun modo sostituire il percorso terapeutico, riescono almeno a non passare notti insonni.
Quali attività può svolgere, insieme, il binomio cane-padrone?
Moltissime, dipende dall'età. Noi lavoriamo con una fascia ampia, si parte dai quattro anni per arrivare ai 76. Oltre a salvare la vita un cane da allerta ne migliora la qualità: chi è sempre stato nemico dell'attività fisica è costretto a muoversi per portarlo fuori o per giocarci. Chi ha una routine quotidiana da seguire può farlo senza dover controllare ripetutamente il sensore: se per caso si distrae ci pensa il cane ad avvertire. Tra le persone che seguiamo c'è anche un atleta, un runner che adesso corre tranquillamente insieme al suo amico a quattro zampe.
Quante persone lavorano per “Progetto Serena”?
Abbiamo una cinquantina di istruttori in tutta Italia. E ci tengo a precisare che tutta la nostra attività si basa sul principio del volontariato: ognuno ha una sua professione e non può dedicarsi a più di due o tre cani nello stesso momento. Lo spirito con cui è nato questo progetto è quello di fornire assistenza alle persone diabetiche senza fini commerciali. E non è un caso che lo abbia chiamato come mia figlia, Serena, che purtroppo oggi non c'è più.