Il gruppo di Eddie Vedder ha conquistato lo stadio milanese con un concerto ricco di brani storici e anche con momenti dedicati alle emozioni private
Una maratona di musica ed emozioni. Per la loro prima volta allo stadio di San Siro, i Pearl Jam hanno presentato uno show fiume, 35 canzoni in tre ore di uno spettacolo che ha avuto anche spazi "intimi", come la dedica di Eddie Vedder alla moglie per il loro anniversario o l'happy birthday corale dei 70mila presenti per il compleanno della compagna del batterista Matt Cameron.
C'era molta curiosità di fronte a questo evento, perché per la band di Seattle non era solo il debutto nel catino milanese ma anche la prima volta di un tour negli stadi, location in passato da loro avversata in maniera esplicita. Come spesso accade, il passare del tempo e il sempre più esiguo numero di nuovi miti in campo rock hanno trasformato in fenomeni di massa gruppi prima di culto. E così se nel 1992, in piena rivoluzione grunge, a vedere i Pearl Jam al Sorpasso c'erano poche centinaia di fan (evento ricordato da Vedder nel corso del concerto), ora che il grunge è un ricordo diventano un'icona attorno alla quale si raccolgono anche convenuti dell'ultima ora. Il potere dei Pearl Jam è di riuscire ad accontentare tutti, die hard-fan e curiosi.
Perché con una scaletta così ampia e strutturata c'è spazio per i brani più famosi ("Alive", "Jeremy", "Even Flow"), per gli estratti dall'ultimo, non proprio esaltante, album "Lightning Bolt" e anche per momenti intimi ("Just Breathe"), chicche ripescate dal vastissimo repertorio ("Thin Air") e brani più accattivanti perfetti per trascinare il pubblico a ballare felice ("Better Man", "Rockin' In The Free World"). In una scatenata "Daughter" riescono persino a trovare il modo di inserire un pezzo di "Let It Go", il successo di Demi Lovato dal film Disney "Frozen".
Il concerto è un lungo percorso al quale il pubblico viene introdotto, come usuale per la band, con un approccio morbido, con pezzi lenti che creano l'atmosfera e danno il tempo tanto alla platea quanto a un emozionato Vedder di scaldarsi e prendere contatto con l'evento. Ma che contatto: "Release", "Nothingman" e "Black" riportano subito indietro di venticinque anni. Senza contare che il cantante ha offerto un antipasto prima della sciagurata partita dell'Italia, con una versione chitarra e voce di "Porch". È lui il fuoco dell'attenzione: accompagnato dall'immancabile bottiglia di vino e da un blocco appunti con i discorsi da fare in italiano, si conferma front man dalla voce potente e dal carisma unico, per quanto molto meno mobile sul palco rispetto a un tempo (e forse un po' acciaccato a giudicare da come si muove nel finale). Ma è tutto il gruppo a girare a mille, con gli infiniti assoli di Mike McCready, il pulsare costante del basso di Jeff Ament, Stone Gossard a cucire con la sua chitarra e Cameron a picchiare come un forsennato.
Il palco è spartano, quasi commovente nella semplicità delle luci e degli "effetti speciali" (delle saette fatte con le lampadine). Anche i due maxi schermi laterali sono al minimo sindacale ma è la musica che fa lo show, al punto che uno potrebbe chiudere gli occhi ed essere investito dalla sua energia in egual maniera. In particolar modo nel finale composto dalle due sezioni dedicate ai bis. Che non sono i classici due o tre pezzi di rito, ma ben tredici. Con un travolgente crescendo emozionale, dalla parte acustica, aperta dalla dedica di Vedder alla moglie con relativo ricordo del loro incontro dopo il concerto milanese del 2000, per arrivare a furibonde rasoiate punk come "Spin The Black Circle". E alla fine è tutto lo stadio, con le luci accese, a ballare e a salutare. Si replica a Trieste domenica con, ci potete giurare, una scaletta del tutto diversa.