Fino al 22 aprile il teatro "Elfo Puccini" ospiterà "I fratelli Karamazov"
Foto di Ilaria Scarpa © Ufficio stampa
Solo un applauso stiracchiato e frettoloso ha "omaggiato" la fine della prima teatrale de "I Fratelli Karamazov" di Dostoevsky messo in scena da Cèsar Brie, ospite dell'Elfo di Milano fino al 22 aprile. Peccato. Forse un pubblico sempre più abituato all'immediatezza del messaggio e la mancanza di una pausa tra due ore dell'Epos russo, possono aver pesato sulla stanchezza degli spettatori. Ma andavano in scena i grandi temi della tragedia umana dostoevskiana, che proprio leggeri, leggeri non sono.
Peccato, perché il regista argentino Cèsar Brie e i suoi attori sono riusciti a cogliere il messaggio del filosofo-drammaturgo di Mosca con quella giusta dose di ironia che fa parte dell'idiozia del dramma umano. Ridendo e facendo al contempo riflettere. Sulle musiche originali di Paolo Brie, che ha accompagnato lo spettacolo con la sua tastiera da un angolino buio del palco, e tra i pochi ma essenziali escamotage scenografici presenti in scena, gli attori hanno trasportato conoscitori e meno conoscitori dei tre "Fratelli Karamazov" nelle impervie vie dell'animo umano tra brucianti passioni (quelle di Dimitri), riflessioni teologiche ed esistenziali (quelle di Ivan), amore e purezza (quella di Aleksej), ma anche gelosie, egoismo e lussuria.
Praticamente "la summa dei temi che hanno assillato lo scrittore per tutta la sua vita" e che ha traslato nella sua ultima opera. Come dice Brie, Dostoevsky parla del "nostro presente che è costituito dallo stesso abisso che l'autore collocava nelle menti delle persone e delle loro azioni individuali". Riuscita la "trovata" usata in alcune parti della pièce, dove gli attori, diventando marionette di se stessi, sciolgono nodi prettamente tecnici di fruizione e allo stesso tempo donano quell'impronta fatalista che tanto alberga nella letteratura russa dell'800. L'impresa non è stata semplice, ma è da apprezzare. L'invito qiundi è quello di fermarsi un attimo prima di uscire di fretta dalla sala e riflettere. Magari l'applauso verrà da sé, come riconoscenza per un grande dono del passato: Dostoevsky nonostante Dostoevsky, perché "non la forza bruta - come diceva il filosofo di Mosca -, ma la bellezza, quella vera (in questo caso quella dei grandi classici del passato), solo essa salverà il mondo".