Bugo: "Non faccio l'alternativo a tutti i costi, ma mi piace fare un po' di casino"
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A quattro anni dal precedente album il cantautore ha pubblicato l'Ep "Arrivano i nostri". "I nostri? Sono quelli incazzati per questa situazione che stanno arrivando per rovesciare tutto"
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Cantautore ma anche artista a tutto tondo, con un piede nella discografia mainstream ma divertendosi a sparigliare le carte. A quattro anni dal precedente album Bugo pubblica l'Ep "Arrivano i nostri", prima parte di un progetto in divenire. "Volevo sperimentare un po' anche con le regole della discografia - spiega a Tgcom24 -. Se sono un outsider? Sì, io non rifiuto l'invito alla festa, ma poi faccio un po' di casino per movimentarla".
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Dall'inizio della sua carriera, iniziata a ridosso del nuovo secolo, le definizioni per Bugo si sono sprecato. Qualcuno ha visto in lui il "nuovo Vasco" o il "nuovo Beck", lo ha etichettato come poliedrico, alternativo artista lo-fi. Fino all'immagine di "fantautore", coniata per lui per riassumere le caratteristiche di un cantautore con uno sguardo allargato sulla fantasia. Di sicuro Bugo è un artista difficilmente inquadrabile, uno allergico alle regole, con una vita perennemente in divenire, pronto a mollare tutto per andare a vivere in India quattro anni... "Ho lasciato tutto - dice - per fare questa esperienza. Il mio contratto con la Universal era scaduto. Poi quando sono tornato un anno fa ho ripreso i contatti con il mondo della discografia per ripartire".
L'esperienza indiana ha influito su quest'album?
Direttamente ti direi di no. Non c'è sitar o harmonium e nemmeno canti indiani. Ma il fatto che non ci siano riferimenti sonori non è perché non mi interessino ma probabilmente non ci sono stati spunti particolari. Non è che se uno va in Africa deve per forza fare il disco africano! Forse ha lasciato qualcosa a livello più emozionale o di consapevolezza. Sono cose che capisci a posteriori, quando riascolti una canzone e ti rendi conto che è venuta per via di un'esperienza. Vivere all'estero quattro anni ti apre anche una visione. E' una cosa meno chiara ma più profonda.
La trasferta in India è una delle tante fughe della tua vita di cui parli in "Vado ma non so"?
Quello è un testo chiaramente autobiografico ma non sono fuggito dall'Italia. Non è un pezzo che parla di spostamenti veri ma più una metafora. Si riferisce al desiderio di buttarmi nella vita senza seguire una meta, guardando quello che mi succede. Sono sempre stato così, quando affronto le cose, anche artisticamente, le vivo come un'avventura che si delinea strada facendo. Alla fine poi la libertà e l'autonomia sono delle chimere, però già il fatto di diesiderarle è una grande forza.
Senza mete, ti metti in moto e vedi dove ti porta la vita...
Se io devo andare a Roma so che vado lì. Se invece voglio solo muovermi, mi metto in viaggio e vivo le situazioni cercando di prenderne il meglio o il peggio. Non è solo un tema del viaggio, è un modo di vivere la mia vita.
Chi sono i "nostri" a cui ti riferisci nella canzone che da il titolo all'Ep?
Spesso molte mie canzoni sono sogni o desideri. I nostri sono quelle persone che hanno una sensibilità per cui non si sentono parte di ciò che sta accadendo a livello politico e sociale e che hanno un sentimento di dire "oh basta, stiamo arrivando". E' un pezzo da battaglia, ma è più un desiderio che una realtà. Ma la sento questa cosa in giro tra la gente. c'è un rumore di sottofondo che prima o poi arriverà in superficie. O almeno ci lascia la speranza che accadda.
Dal punto di vista sonoro invece che direzioni hai voluto seguire?
Detto questo, se scrivere canzoni è il lato delicato e serio del mio mestiere, quello divertente è arrangiarle. In questo caso i pezzi sono tutti stati scritti in India e li ho preprodotti tutti io. Ci ho lavorato tanto con un ragazzo in studio. L'idea di base era quella di prendere delle sonorità molto contemporanee, soprattutto nell'uso delle chitarre e del basso, e unirle a cose un po' più "datate", come la batteria tipicamente anni 80, le tastiere più 70. E cercare di farle combinare insieme. E' un lavoro di chimica musicale. Alla fine è un gioco al quale do poco peso.
Come mai?
Molti fan si concentrano sul suono, per me invece non è così importante. Io con un pezzo sto dicendo qualcosa, che poi lo dica con la chitarra o con il sitar cambia poco. Alla fine per me l'elettronica è uguale al rock: quello che è importante è la canzone.
Come mai la decisione di tornare con un progetto diviso in più parti?
Ovviamente essendo stato via ho tantissimi pezzi, ma non mi interessava pubblicare un'opera omnia. Con Carosello abbiamo convenuto su un ritorno in evoluzione, non con il classico disco, ho pensato che poteva essere interessante anche per me uscire un po' dagli schemi. Quindi abbiamo fatto due singoli, poi l'Ep e poi arriverà l'album, ma magari nel frattempo uscirà anche un altro singolo. E' un progetto in divenire che mi tiene in tensione. Anche perché le regole discografiche ci sono ma si può sempre provare a rimescolare un po' le carte.
Che rapporto hai con i social?
Ho un rapporto poco professionale. Ho delle persone che mi aiutano a gestirli per le cose più formali, ma chi mi segue capisce che scrivo in prima persona senza seguire un ordine preciso. Cerco di essere molto libero anche in quel caso, e ogni tanto faccio incazzare la casa discografica perché esagero. Però sono un artista, fatemi fare. Poi delle parti formali occupatevene voi.
Nelle note di presentazione dell'Ep vieni definito un "outsider". E' la definizione che più ti rappresenta?
Diciamo che è un termine che abbiamo trovato per dare una definizione che potesse attirare l'attenzione. Se potessi definirmi io direi semplicemente che sono un ragazzo che scrive canzoni, faccio del mio meglio per fare il mio lavoro. Si può fare gli strani ma alle volte le cose sono più semplici di quanto sembrino.
Però un po' fuori dagli schemi lo sei...
Sì, ma il termine outsider mi sta bene. Non perché sia uno a cui piace stare nel proprio brodo, mi piace stare nel sistema della musica italiana, ho anche lavorato 10 anni con una multinazionale. Però mi rendo conto che sono un po' fuori posto. Un po' come Vasco o Celentano, che per me sono miti assoluti. Loro sono outsider perché sono in questo mondo a pieno titolo ma sono sempre fuori posto, da loro ti puoi aspettare di tutto.
Quelli che non devono rispettare a tutti i costi le regole...
Non rispetto le regole dell'ambiente ma in quell'ambiente ci sto. Un conto è fare il diverso e dire "guarda quelli". A me non interessa. Come quando vai a una festa e poi fai casino per movimentare un po' la serata. Però alla festa ci vai, non è che dici che fa schifo. Ci vado e la animo un po'.
LE DATE DEL TOUR
6 novembre Brescia (Latteria Molloy)
7 novembre Prato (Capanno Blackout)
12 novembre Torino (Hiroshima Mon Amour)
13 novembre Roncade – TV (New Age)
14 novembre Modena (Off)
19 novembre Milano (Salumeria della Musica)
20 novembre Roma (Teatro Quirinetta)
21 novembre Colle Val D'Elsa – SI (Sonar)
27 novembre Pordenone (Il Deposito)