Enrico Ruggeri: "Dopo 35 anni racconto la vita senza mai voltare le spalle ai fan"
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Il cantautore milanese pubblica "Pezzi di vita", nuovo album con 10 inediti e 14 brani del passato rifatti con nuovi arrangiamenti. E si concede una piccola risposta a distanza a Francesco De Gregori...
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Si intitola "Pezzi di vita" il nuovo album di Enrico Ruggeri. Un doppio con 10 inediti e 14 brani dei primi anni 80 rifatti. "Racconto i problemi di oggi, in parte dal mio punto di vista, in parte raccontando i giovani che osservo" spiega a Tgcom24. Nell'album anche un brano in risposta a Francesco De Gregori e al suo rapporto con i fan: "Nessuna polemica, ma abbiamo rapporti diversi: dai fan lui prendeva le distanze, io preferisco parlarci".
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Tra un libro e una trasmissione in radio, Enrico Ruggeri trova sempre il tempo di tornare alla sua essenza più pura, quella di cantautore. "Pezzi di vita" è un album che ha richiesto molti mesi di lavoro, nel qualche torna a lavorare con collaboratori storici come la pianista Stefania Schiavone, e che fa da cucitura ideale tra passato e presente.
"Pezzi di vita" è il tuo trentunesimo album. Che effetto fa aver raggiunto un simile traguardo?
Da un lato c'è il piacere di aver fatto un lungo percorso facendo ciò che amo. Quando ho iniziato avrei fatto i salti di gioia se mi avessero chiesto "ti piacerebbe fare 5 album?". Dall'altra c'è, aihmè, la considerazione anagrafico-temporale: invecchiamo.
Trenta album dopo però ci sono ancora cose da raccontare...
Invecchiare non è bello però ci sono degli aspetti altamente positivi. Puoi raccontare le stesse cose di una volta ma tutto è cambiato. Raccontare i giovani della rabbia punk di fine anni 70 non è come raccontare i giovani di oggi, così come parlare d'amore è molto diverso.
Hai detto "tanti anni fa scrivevo canzoni dal mio punto di vista di ragazzo, oggi parlo di ragazzi perché li osservo". Hai fatto un passo indietro preferendo raccontare ciò che vedi piuttosto che la tua vita?
I confini non sono così delineati. In alcune canzoni inizi pensando di parlare di te e finisci con il parlare di temi generali. E a volte viceversa.
L'impeto dei vent'anni però porta a mettersi più al centro di quello che si racconta?
C'è un cambio di prospettiva. Ma anche oggi si raccontare se stessi attraverso gli occhi di altri. In questo album ci sono delle canzoni in cui parlo di ragazzi e in qualche modo mi rivedo. Quel senso di ingiustizia che avevo quando ero ragazzo, oggi forse è ancora più evidente, in un mondo dominato dalle raccomandazioni e dove spesso fa strada chi non se lo merita.
L'album è molto vario dal punto di vista stilistico. Avevi chiaro sin dall'inizio come sarebbe stato o si è evoluto strada facendo?
All'inizio avevo in mente soprattutto cosa non fare. Oggi se ascolti la radio, tutte le canzoni che passano hanno lo stesso suono. La mia proposta è quella di uscire da questa prigione che ti obbliga a fare un pezzo con l'ossessione di un passaggio radiofonico, che comunque se arriva fa piacere. Quindi avere un suono identificabile sì ma non omologato, provare a dire che ci sono tanti modi per fare un disco.
A proposito di radio, un tuo collega, Sergio Caputo, recentemente ha lanciato dure accuse dicendo che passano solo la musica che "fa guadagnare". Tu, che ci stai anche lavorando, come vedi oggi quel mondo?
Oggi la radio è un sottofondo. Oggi c'è la Rete. Ho un figlio di 25 anni ma ne conosco molti anche più giovani: nessuno di loro ascolta la radio. Io in questo momento sto facendo un programma radiofonico, ma non è un programma di musica, è una trasmissione nella quale parlo e racconto delle cose. E credo che quello sia il futuro della radio: nel momento in cui in qualunque situazione puoi ascoltare quello che vuoi, costruendoti playlist e collegandoti a internet, la radio viene superata.
E quindi a Caputo cosa diresti?
A Sergio, se lo incontrassi, gli direi che si possono fare bellissime carriere, e lui ne ha fatta una così, senza passare dalla radio. Ci sono artisti come Paolo Conte che in radio passano pochissimo ma se vuoi andarli a sentire a teatro devi prenotarti mesi prima.
Parlando di un altro collega, il primo brano, "Sono io quello per strada", è una risposta a distanza a un brano di Francesco De Gregori di qualche anno fa...
Adesso si parla di dissing, con i rapper che si insultano o provocano da un disco all'altro. Non era questa la mia intenzione, tanto più che Francesco è uno dei colleghi che più stimo. Senza fare paragoni blasfemi, io penso a quando nei caffè letterari uno scriveva un articolo su un giornale e l'altro gli rispondeva: è un dibattito culturale.
E in questo dibattito cosa hai da dire a De Geregori?
Mi ha colpito molto la sua canzone "Guarda che non sono io" nella quale prendeva le distanze da se stesso e dai suoi fan. Ho voluto ricostruire la stessa situazione, infatti anche nella mia sta piovendo. Solo che lui rispondeva "guarda devo andare, arrivederci". Mentre io dico "visto che dobbiamo parlare, vieni sotto l'ombrello un attimo".
Lui sosteneva che un conto è il personaggio pubblico, un conto il privato, che va preservato. Per te non è così?
Quello in strada sono io eccome, non può esserci una separazione. Poi siamo cantautori, non è che ci saltano addosso e ci strappano la maglietta: in genere, dopo anni che un fan ti segue, se ti incontra può capitare voglia scambiare due parole. E un po' io glielo devo.
L'album ha un secondo cd con 14 brani del passato rifatti con nuovi arrangiamenti. Alcune versioni sono molto vicine a quelle originali, altre hanno interventi più decisi. Come ti sei mosso nel ritoccare canzoni molto amate?
Ho preso le canzoni più significative dei miei primi cinque anni. Sono passati trent'anni e questa volta mi sembrava il momento giusto per rimettere mano a pezzi del mio passato. Le linee vocali sono inalterate, perché io stesso mi infastidisco quando un cantante cambia la linea melodica di una canzone che amo. Gli arrangiamenti invece sono in linea con quelli che presentiamo dal vivo.
Come mai allora non hai voluto fare un album dal vivo come bonus?
Nella mia carriera ne ho fatti solo due, non sono uno che mette mano spesso alle proprie cose più datate. Questa volta ci tenevo a rifissare in versioni in studio alcune canzoni, sia per i vacchi fan che per i nuovi che non conoscono il mio passato. Anche perché, avendo cambiato io in questi anni parecchie case discografiche, ogni volta che esce un mio disco il mio vecchio catalogo viene utilizzato per raccolte o altre uscite, con brani in versioni vecchie di trent'anni.
Tra i brani rifatti c'è anche "Vecchio frac", che è una cover. Ha un particolare significato per te?
Uno dei singoli che feci in quegli anni fu "Vecchio frac". All'epoca le cover non erano così diffuse. Aveva aperto un po' la via Ivan Cattaneo con "Italian Graffiati", mentre io avevo un occhio a un album di qualche anno prima di David Bowie, intitolato "Pin Ups". Quindi quel brano non era un riempitivo ma il volere aggiungere una cifra stilistica a una grande canzone.