presidente per 14 stagioni

Addio a Ivan Ruggeri, presidente di una volta

Dopo cinque anni di calvario se ne va l’ex presidente dell’Atalanta: un bergamasco tutto d’un pezzo, capace di prendere Vieri, Inzaghi, Mondonico e le distanze dalla curva. Il destino gli ha risparmiato il dolore del calcioscommesse

08 Apr 2013 - 12:02
 © Ansa

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Alla fine hanno avuto la meglio razionalità e scienza. Ancora una volta sentimento e umana speranza hanno issato bandiera bianca. Ivan Ruggeri se n’è andato dopo un calvario di cinque anni, con il corpo adagiato in un letto ma con l’anima chissà dove. Ci sono posti migliori per l’anima vagante di un corpo immobile ma a noi piace sognare che Ruggeri abbia spaziato sul prato verde del Comunale o su quelli altrettanto colorati del Centro Sportivo Bortolotti di Zingonia.

Per quattordici stagioni Ruggeri è stato l’Atalanta, una società plasmata a sua immagine e somiglianza. Con inevitabili pregi e relativi difetti. Ruggeri era un imprenditore con la passione per il calcio, senza centri commerciali da costruire e carriere politiche da consolidare. Come fosse una moglie, si è preso l’Atalanta nella buona e nella cattiva sorte. In panchina l’Atalanta vincente di Mondonico, quella fatta in casa di Vavassori, quella di Delneri e del primo Colantuono. A memoria farina del suo sacco furono Inzaghi, Vieri, Lentini e Carrera, Tacchinardi, Ganz, Doni, i gemelli Zenoni, Bellini, Pazzini e Montolivo. Sua fu la scommessa Comandini. Sua la testardaggine nel dare dei “caproni” a certi teppisti della Curva Nord e nel preferire una serata a tavola con il “Club Amici dell’Atalanta” piuttosto che il palco della festa della Dea. Sua la voglia di far rispettare i colori della Dea in Lega e dovunque ce ne fosse bisogno, come quando fece prendere le distanze ai suoi calciatori dai delinquenti che fecero rinviare Atalanta-Milan l’11 novembre 2007, dopo la morte di Sandri.

Ivan Ruggeri era questo, un bergamasco come molti di noi. Spigoloso e schietto al primo impatto, quasi scontroso. Sentimentale e disponibile una volta superata la scorza esterna. Sempre disponibile al cellulare, sempre capace di una battuta con noi aspiranti giornalisti chiusi nel gabbiotto di legno che c’era una volta a Zingonia. D’inverno veniva a scaldarsi con noi, d’estate passava per un saluto. Spesso portava il figlio Alessandro che poi ne avrebbe preso il posto, suo malgrado. Ruggeri era così, una brava persona capace di mandarti un telegramma il giorno del tuo matrimonio. Capace di aprire la sua residenza sulla Maresana (non un ristorante o un Centro Congressi) ai giornalisti ogni settembre per un pranzo come fossimo tutta nella stessa barca.

La malattia gli ha evitato l’incubo dell’inchiesta-calcioscommesse, di Doni coinvolto e di Doni arrestato. E dire che fu lui a prenderlo dalla “nemica” Brescia su richiesta del Vava.

Per tanti motivi, Bergamo non si è mai stracciata le vesti per Ruggeri e per la sua famiglia. Pazienza, un medaglia in più sul petto del presidente.

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