Il racconto di un dottore palestinese che in guerra ha perso tre figlie
di Francesca AmbrosiniLa vita, prima di tutto. La forza della vocazione che non ti fa vedere dove ti trovi ma solo la missione che devi portare a termine. Oltre le bombe, oltre le schegge, in ogni guerra ci sono migliaia di pazienti da salvare a prescindere da chi siano, dal loro vissuto, dal loro credo. E ci sono anche - per fortuna - migliaia di medici e infermieri in trincea. Hanno curato talebani, dittatori, terroristi, orfani, mamme e papà. Vivono sul confine fra due mondi che si odiano dove tutti i criteri e le logiche sono saltati. In primis quelli che riguardano la sanità.
A Gaza pochissimi ospedali sono rimasti operativi: mancano farmaci, strumenti luce e acqua. Ma i medici e i volontari da tutto il mondo lavorano fianco a fianco in strutture da campo. Tra le storie più strazianti quella di un dottore palestinese che in guerra ha perso tre figlie. È il protagonista del documentario "I shall not hate, non odierò'' presentato al Terraviva Film Festival. Non ha trasformato il dolore in odio. "Perché - racconta - l'odio è contagioso". Ora fa partorire le donne israeliane.
In questo strazio è come se la luce - quando c'è - brillasse più forte. Come quella "accesa" dai volontari dei kibbutz di confine che accompagnavano i palestinesi negli ospedali israeliani per le cure. Palestinesi o israeliani poco importa. Sono tutte mani tese di uomini ad altri uomini.