"Ci accusano di cose impossibili da realizzare", avrebbe detto al gip il presunto hacker, Samuele Calamucci che poi ha consegnato una memoria difensiva
di Alessandro TallaridaSono tante le cose che i protagonisti dell'inchiesta sui presunti dossieraggi avrebbero potuto spiegare ai magistrati durante gli interrogatori di garanzia. 800mila persone spiate, una mole di dati impressionante, gli accessi non autorizzati ai server del ministero dell'Interno. "Ci accusano di cose impossibili da realizzare", avrebbe detto al gip il presunto hacker, Samuele Calamucci che poi ha consegnato una memoria difensiva. Nessun accenno al fatto che un componente del gruppo, che per gli inquirenti costituiva una "minaccia per la sicurezza nazionale" sarebbe stato in possesso di un hard disk con "l'intero database della Sezione anticrimine del Ros di Milano". Una miniera di informazioni che avrebbe condiviso con Equalize, la società al centro delle indagini, e che si aggiungono a quelle estratte dallo SDI, il sistema che raccoglie i dati provenienti dalle diverse forze di polizia.
Tanto abili nel creare dossier quanto pronti a distruggere le prove: il gruppo sarebbe infatti stato in possesso di una cosiddetta "chiavetta killer": una volta inserita nel computer cancellava e rendeva irrecuperabile la memoria e i dati in essa contenuti. Forse avranno anche pensato di usarla quando il socio di maggioranza di Equalize, Enrico Pazzali, ha ricevuto una soffiata: "Stanno indagando su di te", gli avrebbe detto un alto ufficiale. E così, spiegano gli inquirenti, lo stesso Pazzali avrebbe chiesto ai suoi tecnici informatici di accedere al database del Viminale per verificare se effettivamente ci fossero indagini su di lui. Davanti al gip gli indagati hanno quasi tutti però scelto di non rispondere. Solo dichiarazioni spontanee: "Sono un servitore dello Stato - avrebbe invece detto Carmine Gallo, l'ex super poliziotto e socio di minoranza della Equallize - parlerò ai pm per dimostrare la mia innocenza".