Dopo aver esplorato per qualche mese la scena sadomaso del capoluogo lombardo abbiamo chiesto a due importanti sessuologi perché alcune persone provano piacere nel dolore
di Olga Bibus© tgcom24
Abbiamo esplorato per qualche mese la scena Bdsm di Milano e raccolto le storie di alcuni protagonisti come Tsuki, Silvia, Mark, Ross, Sam e Mike. Sui volti di chi abbiamo intervistato nessun segno di deviazione, soltanto sorrisi e la voglia di sfatare qualche pregiudizio. Persone comuni con una casa, un lavoro, una famiglia e degli amici. Ma con una passione atipica e l’asticella del dolore spostata un po’ in là. Abbiamo chiesto allora ai sessuologi Alberto Caputo e Fabrizio Quattrini perché alcune persone riescono a provare piacere nel dolore.
L'approccio iniziale - Sigmund Freud, a inizio ‘900, è stato tra i primi a descrivere da un punto di vista clinico il sadomasochismo. Il padre della psicoanalisi faceva derivare il comportamento da un sviluppo psicologico aberrante avvenuto nella prima infanzia. Freud ha gettato le basi per la prospettiva medica futura: per anni il sadomasochismo è stato considerato una patologia.
Il cambio di rotta - “L’approccio clinico è cambiato seguendo l’evoluzione della società. Ciò che a metà ‘900 poteva essere considerato socialmente riprovevole col tempo è diventato accettabile”, dice Fabrizio Quattrini, presidente dell’Istituto Italiano di Sessuologia Scientifica e docente di Clinica delle Parafilie e della Devianza all’Università dell’Aquila.
Già a metà anni Settanta accanto al termine perversione è stato aggiunto quello più morbido di parafilia per descrivere chi mostra interesse per pratiche erotiche considerate insolite nella morale comune. “Rivoluzionaria però è stata l’ultima edizione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm 5) pubblicata nel 2013”, spiega Quattrini.
Il Dsm, definito anche “la Bibbia della psichiatria”, è il principale riferimento per medici, psicologi e psichiatri nella loro attività clinica e di ricerca. “La quinta edizione del manuale, cioè l’ultima, non solo distingue le parafilie dalle patologie, ma le separa anche dai disturbi parafilici. Per questa ragione il Dsm 5 è considerato uno spartiacque in materia di trattamento clinico del sadomasochismo - afferma Quattrini - Il disturbo parafilico è una patologia quindi è da curare, la parafilia invece non ha bisogno di cure. Esiste addirittura anche un gradino più basso della parafilia: la trasgressione. Alcune pratiche dei Bdsm rientrano in questa”.
Quando è patologia - Chi pratica sadomasochismo dunque non è più considerato un malato mentale. Così come il Bdsm di per sé non è più una patologia, anche se in alcuni casi lo può diventare. Quando per esempio coinvolge persone non consenzienti e si va a scontrare con la legge. Oppure quando “diventa una pratica ripetitiva che monopolizza la sessualità”, afferma Alberto Caputo, sessuologo clinico, fondatore dell’Istituto di evoluzione sessuale (Ies) .
"Il sadomasochismo può diventare un disturbo quando la persona sadica o masochista si eccita esclusivamente vedendo una persona soffrire o soffrendo lei stessa”, spiega Quattrini. “L’individuo si trova a vivere questo tipo di eccitazione come una forma di dipendenza che va a compromettere anche la sua vita quotidiana. Molto spesso questa condizione crea disagio alla persona in questione che si rende conto di stare male”, continua il dottore.
Caputo assicura che la percentuale di patologia nel mondo sadomaso non è superiore a quella nel mondo vanilla, cioè tra chi non pratica Bdsm. “Nella mia esperienza clinica ho visto molto più sadomasochismo patologico nelle coppie che venivano da me a fare terapia rispetto a quello visto al Nautilus durante il Sadistique. Il masochismo all’interno della coppia passa attraverso una serie di ricatti psicologici sottili e inconsapevoli che vanno dal modo in cui vengono stirate le camicie al modo di servire la pastasciutta”.
Le ragioni del Bdsm - Per quale ragione alcune persone “sane” si trovano a provare piacere nel dolore? Secondo gli esperti non c’è una spiegazione univoca al sadomasochismo, ma ragioni neurobiologiche e fisiologiche si intrecciano con motivazioni psicologiche. Per Quattrini i bdsmer tendono ad associare il piacere al dolore a livello neuronale. “È il cervello a definire se un’esperienza è dolorosa oppure piacevole perché nel sistema nervoso le due sensazioni viaggiano sullo stesso canale. Alcune persone separano il piacere dal dolore, i bdsmer invece vivono il dolore come gratificante e quindi lo inseriscono nell’area del piacere”, dice il dottore.
Caputo condivide il punto di vista di Quattrini, inoltre associa la passione per il Bdsm al rilascio nell’individuo di oppioidi endogeni dopo una sessione sadomaso. “Funzionano come una sorta di droga interna e fanno cadere la persona in uno stato di trance”, sostiene.
La persona, inoltre, può essere stata condizionata da qualcosa che ha visto oppure dall’ambiente in cui è cresciuta. In alcuni casi dietro ci possono essere situazioni di abusi, anche se non è sempre così. Non è chiaro se chi pratica Bdsm nasce con una predisposizione a far coincidere piacere e dolore oppure se impara esplorando. Così come il trauma infantile può spiegare la propensione per il Bdsm di una singola persona, ma non è una regola che vale per chiunque. “Aver subito qualche forma di violenza può in qualche modo influenzare un individuo a praticare Bdsm. Ma all’interno del mondo sadomaso non c’è un’incidenza di patologie, di disturbi della personalità o di traumi infantili superiore alla media”, afferma Caputo.
C’è però una certezza sul sadomasochismo: per provare piacere in un momento di sofferenza, come può essere una frustata, è necessaria sia di predisposizione da parte del sottomesso che consapevolezza da parte di chi ha la frusta in meno. “Parlando con le donne è emerso che una frustata sulla vulva può diventare estremamente piacevole. Inoltre dopo una sessione nelle donne c’è un calo di livelli di cortisolo, l’ormone dello stress”, continua Caputo. Questo vuol dire che non hanno vissuto la sofferenza fisica in maniera stressante, ma al contrario è stata un’esperienza piacevole e di rilassamento.
“Le persone che sono in grado di fare questo tipo di esperienze arrivano a provare sensazioni estreme. Il Bdsm va praticato da persone che lo sanno fare”, afferma il dottore. E aggiunge: “In generale non esiste giusto o sbagliato, l’unico sesso che non si può fare è quello che non si riesce a fare”.