Le proteste dei trattori: ecco perché
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Il fronte comune è quello dell’opposizione alle politiche europee del Green Deal ma la protesta assume connotati diversi a seconda dei Paesi
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Una protesta che dilaga in tutta Europa con un unico comune denominatore: l'opposizione alle politiche del Green Deal, ma le ragioni della rabbia degli agricoltori hanno sfumature diverse per ogni Paese dell'Unione. Prima la Germania e la Francia, poi l’Italia e, adesso, anche la Spagna e la Grecia sono in balia della protesta dei trattori che, come molti analisti sono pronti a scommettere, diventerà uno dei temi centrali per le elezioni europee di questa primavera.
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Le rivendicazioni sono comuni: redditi e aiuti più alti, no ai rigidi paletti del Green Deal che, secondo molti agricoltori non farà altro che altro che rendere il settore agricolo europeo meno competitivo rispetto alle importazioni. Si chiedono anche maggiori tutele dagli eventi climatici estremi, dal caro energia, dalle epidemie come l'aviaria e dalla concorrenza sleale del resto del mondo. Simboleggiata da accordi - Mercosur in testa - che, nella visione del settore soprattutto francese, favoriscono l'invasione sul mercato europeo di prodotti con standard dubbi e prezzi più bassi. Una collera davanti alla quale Bruxelles ha tentato di mettersi al riparo proponendo di rinnovare per un altro anno - tra giugno 2024 e giugno 2025 - le agevolazioni agricole e commerciali concesse a Kiev, combinandole però con salvaguardie rafforzate chieste a gran voce dagli agricoltori di frontiera, quelli di Ungheria, Polonia, Slovacchia, Repubblica ceca e Romania. Poi è arrivata anche la proposta, fortemente voluta da Parigi, di tenere ancora sospesi gli obblighi previsti dalla nuova Pac di mettere a riposo il 4% dei terreni a seminativo per poter ottenere i finanziamenti comunitari. Tutte misure accolte con soddisfazione dall'Eliseo, pronto però a dare nuova battaglia sull'accordo di libero scambio con i Paesi sudamericani. E che anche per Coldiretti, presente a Bruxelles a nome di agricoltori e allevatori italiani, rappresentano soltanto "un primo risultato" per ottenere lo stralcio "definitivo" dell'obbligo del maggese.
Nel nostro Paese, la rivolta si basa su due pilastri principali: un livello di retribuzione giudicato inadeguato e il ricollocamento dei sussidi. Un'analisi di Coldiretti diffusa in occasione della prima mobilitazione con gli agricoltori da tutta Europa spiega che dall'agricoltura italiana nasce una filiera agroalimentare allargata che sviluppa un fatturato aggregato pari a oltre 600 miliardi di euro nel 2023 messa a rischio dalle "politiche folli dell'Unione Europea". Tra le altre istanze, gli agricoltori chiedono una maggiore tutela del Made in Italy, e si oppongono all’aumento del prezzo del gasolio. Nell'ultimo periodo però, si è verificata una frattura anche tra frattura tra agricoltori e associazioni di rappresentanza. Un episodio emblematico è quello della bandiera Coldiretti bruciata a Viterbo. "Le grandi confederazioni agricole ci hanno tradito - ha dichiarato pochi giorni fa Danilo Calvani, leader del "Comitato agricoltori traditi"- Una delle ragioni principali della nostra mobilitazione è proprio contro di loro. Si sono sedute e prostrate ai diktat. I loro capi prendono stipendi milionari all'anno e noi stiamo morendo di fame"
Un capitolo cruciale della protesta degli agricoltori lo ha scritto la Francia, dove buona parte delle manifestazioni ha avuto origine, mosse dalle medesime ragioni di quelle italiane. Da giorni è cominciato l'annunciato "assedio" di Parigi, che fa temere una "settimana di passione", tra contadini infuriati e forze dell'ordine francesi. Nonostante l'impegno del governo francese che venerdì scorso ha abbandonato i piani per ridurre gradualmente i sussidi statali sul diesel agricolo e promesso un allentamento delle normative ambientali, gli agricoltori non le hanno considerate misure sufficienti e per questo hanno deciso di intensificare la mobilitazione. I recenti incontri tra il neo Primo ministro Attal e delegazioni degli agricoltori non hanno dato esiti ritenuti soddisfacenti, e la rabbia dei "trattori" francesi continua a infuriare coordinata dai due principali sindacati: la Federazione nazionale dei sindacati degli agricoltori (Fnsea) e i Jeunes agricultueurs (JA).
Anche gli agricoltori tedeschi, si alzano contro la cancellazione dei sussidi sul gasolio agricolo (21 centesimi sovvenzionati sulla tassa da 47 centesimi per 1 litro di diesel agricolo) e contro il ripristino della tassa sulle macchine agricole (l’esenzione risale al 1922), misure dettate dal ritorno del freno sul debito pubblico nel 2024 e decise dal governo federale con entrata in vigore imminente. Nelle ultime settimane le proteste si sono intensificate, e alcuni giorni fa, hanno riguardato anche un comizio del ministro dell’Economia, Christian Lindner, e molti in Germania stanno notando come a queste manifestazioni siano sempre più presenti esponenti del partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD) e di gruppi neonazisti o monarchici.
Gli imprenditori e gli agricoltori olandesi tentano invece di difendere gli allevamenti a rischio chiusura. La direttiva europea mira infatti a ridurre drasticamente le emissioni di azoto di cui sono responsabili gli allevamenti intensivi, in cima alla lista dei settori produttivi in Olanda. Più di 3.000 allevamenti potrebbero chiudere, e a placare la rabbia non sono sufficienti gli indennizzi da un miliardo e mezzo di euro stanziati dal governo.
Tra i motivi delle proteste ha un ruolo fondamentale l’import di prodotti agricoli, soprattutto cereali, a prezzi più bassi dalla vicina Ucraina, che secondo gli agricoltori starebbe rovinando il mercato interno. Gli agricoltori denunciano infatti che produrre alcuni prodotti in Ucraina, come il pollo, costa la metà che in alcuni Paesi europei, tra cui la Francia.