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Alberto Genovese, giudici Sorveglianza Milano: deve restare in carcere

L'ex imprenditore è stato condannato a 6 anni, 11 mesi e 10 giorni per due casi di violenza sessuale con uso di droghe su due modelle

27 Ott 2023 - 10:50
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Alberto Genovese, l'ex imprenditore condannato a 6 anni, 11 mesi e 10 giorni per due casi di violenza sessuale con uso di droghe su due modelle, deve restare in carcere. Lo hanno deciso i giudici del Tribunale di Sorveglianza di Milano, respingendo l'istanza della difesa di affidamento terapeutico. Genovese resta dunque in carcere a scontare la pena (il residuo è poco meno di 4 anni).

Genovese condannato

 Genovese, 46 anni, era tornato in carcere, dopo essere stato ai domiciliari in una clinica per disintossicarsi dalla cocaina, lo scorso 13 febbraio in esecuzione della pena definitiva, come disposto dal pm dell'Ufficio esecuzioni Adriana Blasco. Già a fine maggio scorso i giudici della Sorveglianza di Milano avevano deciso che doveva rimanere a Bollate almeno altri 5 mesi, perché, prima di decidere sull'istanza difensiva di affidamento terapeutico in una comunità, serviva una seria valutazione psichiatrica, anche sulla "criminogenesi", dato che non era stata mai valutata scientificamente la causa specifica dei reati e delle modalità di "estrema violenza" con le quali sono stati commessi.

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Alberto Genovese stupro

 I giudici hanno affidato all'equipe psichiatrica del carcere di Bollate il compito di effettuare le valutazioni, anche per meglio delineare un preciso percorso di terapie per un'eventuale concessione dell'affidamento terapeutico, richiesto dagli avvocati Antonella Calcaterra, Salvatore Scuto e Davide Ferrari. Sulla base della relazione depositata nelle scorse settimane, i giudici (i togati Cossia e Gerosa e due esperti) hanno deciso, dopo l'udienza dei giorni scorsi, di rigettare la richiesta difensiva. 

Alberto Genovese processo

 Tra l'altro, per Genovese a dicembre si aprirà una nuova udienza preliminare sul filone bis delle indagini, coordinate dall'aggiunto Letizia Mannella e dai pm Rosaria Stagnaro e Paolo Filippini e condotte dalla Squadra mobile, con al centro altre violenze con lo stesso schema su due ragazze. Procedimento in cui è imputato anche per intralcio alla giustizia e per detenzione di materiale pedopornografico.

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