"Fu una giornata intensa - ricorda a Tgcom24 Alberto Gandolfi, che aveva 16 anni. - Era impressionante: tanti giovani piegati nella melma che credevano in quello che facevano"
di Gabriella Persiani"E' un ricordo vivissimo l'immagine di questa enorme camerata piena di ragazzi che indefessi, immersi nel fango, erano concentrati a eseguire i loro compiti: chi raccoglieva i libri finiti nella melma e li poggiava sul tavolo e chi con una spunga e un secchio d'acqua li lavava". Racconta così a Tgcom24 il suo impegno, il giorno dopo l'alluvione del 4 novembre del 1966, Alberto Gandolfi, uno dei migliaia degli angeli del fango, che, allora, 16enne, con i suoi compagni di liceo, da Bologna, arrivò a Firenze in pullman per prestare braccia e volontà nel salvataggio delle ricchezze della Biblioteca Nazionale.
Cosa ricorda di quel giorno?
"Arrivammo in pullman da Bologna; avevo gli stivali di plastica e i guanti portati da casa e passai la mattinata a raccogliere i libri finiti nel fango; nel pomeriggio, invece, con gli altri compagni, ci scambiammo il compito: sciacquai con una spugna quei volumi. A sovrintendere ai lavori c'era un addetto della biblioteca. Eravamo in tanti in uno stanzone gigantesco. Non ero mai stato nella Biblioteca Nazionale di Firenze e non ci sono mai più tornato".
Un titolo che con le sue mani strappò dal fango?
"Non posso ricordare i titoli, eravamo troppo concentrati ed era una lotta contro il tempo. Ma ricordo che questi libri avevano copertine in cuoio, quindi immagino che fossero di un certo pregio".
Che atmosfera si respirava in quella grande stanza?
"Si respirava un'atmosfera di solidarietà totale. Eravamo solo dei ragazzini ma si faceva il possibile perché ci si credeva".
Una giornata intensa: dormì quella notte, una volta tornato a casa?
"Per un ragazzino fu un'esperienza incredibile. Tornammo a casa ancora infangati e stravolti e per la stanchezza della giornata riuscii a dormire. Il giorno dopo in classe parlammo di quella esperienza che ci segnò, ma allora non ci fu alcuna attenzione per l'aspetto psicologico. Quello che provammo in fatto di emozioni non interessava a nessuno. Non ci fu alcuna preparazione psicologica prima, né dopo qualcuno ci aiutò. Erano importanti le braccia, il lavoro fisico...".
Cosa resta oggi di quell'impegno?
"Ho vivo il ricordo di quanta dedizione c'era in tutti noi per recuperare, senza danneggiare, i libri sommersi. Se quella stessa dedizione venisse profusa ora per recuperare il nostro Paese, saremmo tutti al sicuro. Ma la dedizione è un po' come l'innamoramento. In alcuni col tempo svanisce. In quelli che non erano veramente innamorati".
E pensando all'attuale emergenza alla luce del suo impegno di quel giorno: i tesori dell'arte persi con le scosse del Centro Italia?
"E' un'emergenza diversa. Allora per fortuna non si correvano rischi nel raccogliere quei tesori nel fango che era ancora fresco. Oggi è più pericoloso entrare in una biblioteca terremotata per salvare i testi e non si possono prendere iniziative personali. Allora rispondemmo con gioia a quella singola giornata che organizzò il nostro liceo. Comprendo la disperazione degli sfollati e anche oggi vorrei fare qualcosa, ma cosa?".