Maurizio Belpietro ha vinto il ricorso al Tribunale di Strasburgo contro la condanna per diffamazione inflittagli per un articolo di Iannuzzi contro Ginacarlo Caselli e Guido Lo Forte. Lo Stato dovrà risarcire il direttore di "Libero". Vince la libertà di espressione
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Il direttore di "Libero", Maurizio Belpietro, ha vinto il ricorso a Strasburgo contro la condanna per diffamazione inflittagli per la pubblicazione, nel novembre 2004, di un articolo ritenuto diffamatorio nei confronti dei magistrati Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte. Per la Corte europea dei diritti dell'uomo, infatti, condannare un giornalista alla prigione è una violazione della libertà d'espressione. Lo Stato ora dovrà risarcire Belpietro.
La condanna a Belpietro - Maurizio Belpietro fu condannato per diffamazione a quattro mesi di carcere, poi sospesi, per aver pubblicato, nel novembre 2004, un articolo firmato da Raffaele Iannuzzi dal titolo "Mafia, 13 anni di scontri tra pm e carabinieri", ritenuto diffamatorio nei confronti dei magistrati Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte.
Per i giudici di Strasburgo: pena troppo severa - I giudici di Strasburgo nella sentenza spiegano che una pena così severa rappresenta una violazione del diritto alla libertà d'espressione del direttore di Libero. La Corte sottolinea infatti che Belpietro venne condannato dalla Corte d'Appello di Milano non solo a risarcire Lo Forte e Caselli per un totale di 110mila euro, ma fu anche condannato a quattro anni di prigione. Secondo la Corte è questa parte della condanna, anche se poi sospesa, a costituire una violazione della libertà d'espressione.
La prigione per un reato commesso a mezzo stampa è quasi sempre contro la libertà di espressione - La Corte infatti ritiene che, nonostante spetti alla giurisdizione interna fissare le pene, la prigione per un reato commesso a mezzo stampa è quasi sempre incompatibile con la libertàd'espressione dei giornalisti, garantita dall'articolo 10 della convenzione europea dei diritti umani. Solo in circostanze eccezionali, come per esempio nel caso di incitamento alla violenza o di diffusione di discorsi razzisti, può essere ammessa. Secondo i giudici di Strasburgo, nonostante l'articolo di Iannuzzi sia stato giustamente considerato diffamatorio, esso non rientra in quei casi eccezionali per cui può essere prevista la prigione.