UN ALTRO CASO

Pescara, evade camorrista pentito Era in permesso premio per 8 ore

Pietro Esposito, 47 anni, non è rientrato nel carcere di Pescara dove era detenuto proprio per una precedente evasione

20 Dic 2013 - 10:49
 © Ansa

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Un collaboratore di giustizia, ex camorrista, non sarebbe rientrato nel carcere di Pescara allo scadere delle 8 ore concesse come permesso premio il 15 dicembre scorso. Pietro Esposito, 47 anni, aveva finito di scontare la pena per due omicidi ed era in prigione proprio per una precedente evasione. Prima di pentirsi, sarebbe stato uno dei killer protagonisti della faida di Scampia. E' il secondo caso in due giorni dopo la fuga di Bartolomeo Gagliano.

Fedelissimo del clan Di Lucia, stretto alleato dei Di Lauro, Esposito aveva da poco finito di scontare sei anni di prigione. Si trovava ancora in carcere per una condanna inflittagli proprio in seguito a una precedente evasione.

Con le sue dichiarazioni consentì di far scattare l'ordinanza di custodia nei confronti del boss Paolo Di Lauro. Da pentito fece individuare anche i responsabili dell'omicidio della 23enne Gelsomina Verde, nel quale era coinvolto, uccisa perché fidanzata di un esponente degli Scissionisti. A concedere il permesso premio era stato il giudice di sorveglianza di Pescara, Maria Rosaria Parruti. In corso la caccia all'uomo.

Una delle sue vittime fu torturata e bruciata - Gelsomina Verde fu torturata, uccisa e bruciata nel 2004, a 22 anni, durante la faida di Scampia. Esposito attirò in trappola la ragazza e la condusse da Ugo De Lucia, killer del clan Di Lauro, che la seviziò per indurla a rivelare il nascondiglio di Enzo Notturno, esponente del gruppo rivale degli "scissionisti". Gelsomina tuttavia non era in grado di fornire notizie; fu uccisa a colpi di pistola e poi bruciata nella sua utilitaria. Il delitto suscitò sdegno per la brutalità di De Lucia, che nel processo, conclusosi il 4 aprile del 2006, fu condannato all'ergastolo. A Pietro Esposito, che nel frattempo era diventato collaboratore di giustizia, fu invece inflitta la pena di sette anni e quattro mesi, in primo grado poi ridotta a sei anni.

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