PARLA UNA VITTIMA

Coppia dell'acido, parla la vittimaPietro Barbini: "Condanne giuste"

"Devono capire il male che hanno fatto. E secondo me non lo sanno. Presto mi laureerò a Boston. Continuo le mie cure e devo vincere la tentazione di nascondermi"

31 Mar 2016 - 13:06

La vita segnata, il viso sfregiato, ma tanta voglia di andare avanti. Pietro Barbini, il giovane aggredito con l'acido dalla "coppia diabolica" Levato-Boettcher il 28 dicembre 2014, porterà per sempre le tracce di quel delitto dipinte in faccia. In un'intervista al "Corriere della Sera" racconta come quel giorno ha cambiato la sua vita e dice: "Condanne giuste. Quei due sono pericolosi".

"Devono capire quanto male hanno fatto - spiega -, perché secondo me non lo sanno. Avranno visto in aula la faccia di Stefano (Savi, altro ragazzo sfregiato), ma il dolore evidentemente non gli è entrato dentro. Non covo odio. In tutto questo tempo lei (non nomina mai Martina, ndr) non mi ha mai mandato una riga, una parola. Se l'avesse fatto potevo forse pensare che avesse l'ombra di un'empatia, invece no. Per me sono pericolosi e nella società non possono stare".

Suo padre lo aveva accompagnato a quell'appuntamento che avrebbe segnato l'inizio del suo calvario, dove lo aspettava la coppia dei due amanti, poi condannati a 14 anni proprio per quell'aggressione. Da allora, la vita quotidiana di Pietro sono "cure molto fastidiose, coi massaggi, le creme, la maschera cicatrizzante che ti impedisce di parlare, di avere contatti. Provavo a tenerla di notte, ma d'istinto me la toglievo nel sonno... Sono terapie che ti isolano completamente. Per 6 mesi le ho seguite in modo intensivo, poi sempre meno. La maschera dovrei metterla ancora 10 ore al giorno, e la tengo un'ora, ho deciso che per me è più importante cercare di riprendermi la libertà di fare le cose, che avere un pezzo di pelle magari un po' migliorata. Cerco un equilibrio tra le cure e la mia vita".

I progetti - Tra poco raggiungerà l'obiettivo della laurea. "Sarà il 5 maggio a Boston - racconta -. Ho ripreso a guidare, le ustioni non sono più così invalidanti. La mia vita sarà sempre più simile a quella di prima, inizio a sentirlo. Devo solo vincere la tentazione di nascondermi. Penso di andare a vivere lontano dall'Italia, magari in America. Fare un master. A Milano, dove mi conoscono tutti, è ancora un po' difficile. La perfezione non è un risultato, ma un percorso. Ora l'ho capito, e lo accetto".

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