I magistrati di Milano indagano sui suoi vecchi contatti degli anni Ottanta, che lo avrebbero appoggiato nella fuga in Bolivia
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Per la sua latitanza in Bolivia Cesare Battisti aveva recuperato vecchie conoscenze degli anni Ottanta. Ed è su questi nomi che si concentrano ora le indagini della Procura di Milano per fare chiarezza sulle sue ultime settimane, dopo la fuga dal Brasile. Nel mirino dei magistrati c'è la rete dei contatti che hanno facilitato l'arrivo in Bolivia e la successiva permanenza.
Niente telefono - Secondo quanto scrive la "Stampa", Battisti non ha usato il telefono ma solo WhatsApp e Telegram, oltre al profilo Facebook di un amico che non sapeva di essere sotto controllo. Ma tutto ciò non è stato sufficiente. La collaborazione tra Digos milanese, Interpol e polizia boliviana ha consentito di individuare e, alla fine, catturare l'ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo. Le forze di sicurezza di La Paz hanno scoperto i mezzi con cui Battisti comunicava con i suoi complici, lo hanno pedinato scovando l'alberto in cui alloggiava sotto falso nome e lo hanno arrestato.
Sembra siano una quindicina i numeri di telefono di cittadini boliviani e brasiliani vicini a Battisti che sono stati intercettati dalle autorità inquirenti. Sull'operazione che ha portato a individuare l'ex terrorista Pac il procuratore generale di Milano Roberto Alfonso dice che "sono state utilizzate strumentazioni ad alta tecnologia" e il sostituto procuratore Antonio Lamanna aggiunge che "il risultato è stato ottenuto grazie alla svolta politica del Brasile".
Favoreggiamento - Adesso l'attenzione è tutta sulla rete di protezioni che fino all'ultimo ha nascosto Battisti. Ci sarebbero anche coperture italiane nella rete che lo ha accompagnato in Bolivia, dove l'ex terrorista è arrivato il 17 dicembre. Da allora la Digos ha scoperto contatti con personaggi dell'estremismo rosso degli anni di piombo e anche con diversi familiari, che però non avranno conseguenze penali. Per gli altri si prospetta un'incriminazione per "favoreggiamento reale", con il rischio fino a quattro anni di carcere.