Il "gioco" che istiga al suicidio

Blue Whale, Cassazione: esclusa l'istigazione al suicidio

Secondo la Suprema Corte non è reato se la vittima si procura "solo" lesioni lievi invece di ammazzarsi o cagionarsi ferite gravissime

23 Dic 2017 - 16:34
 © ufficio-stampa

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Chi istiga al suicidio adolescenti minorenni adescati con "Blue Whale Challenge", il "gioco" diffusosi in rete dallo scorso febbraio che dopo estenuanti prove di sottomissione spinge a togliersi la vita, non commette reato nel caso in cui la vittima si procura "solo" delle lesioni lievi invece di ammazzarsi o cagionarsi almeno ferite gravissime. Lo sottolinea la Cassazione nel primo verdetto che si occupa di questo pericoloso social game.

La Suprema Corte si è pronunciata sul caso di Vianny B., un uomo di 37 anni nato in India e dal cognome italiano, che aveva avvicinato in chat una ragazzina alla quale scriveva messaggi tipo "manda audio in cui dici che sei mia schiava e della vita non ti importa niente e me la consegni". Ad avviso della Cassazione, l'uomo deve essere accusato di adescamento ma non di istigazione al suicidio perché la minorenne si era "procurata lesioni non gravi". La legge, rilevano gli ermellini alleggerendo la posizione dell'indagato, stabilisce che "non è punibile" l'istigazione "seguita da suicidio mancato da cui deriva una lesione lieve o lievissima".

"Coglie nel segno", scrive la Cassazione nella sentenza 57503, l'obiezione della difesa di Vianny B. "in merito alla inconfigurabilità" del delitto di istigazione al suicidio (art. 580 cp). La norma in questione, spiegano i supremi giudici, "punisce l'istigazione al suicidio, e cioè a compiere un fatto che non costituisce reato, a condizione che la stessa venga accolta e il suicidio si verifichi o quantomeno il suicida, fallendo nel suo intento, si procuri una lesione grave o gravissima". "L'ambito di tipicità disegnato dal legislatore esclude, dunque, non solo la rilevanza penale dell'istigazione in quanto tale - prosegue il verdetto - ma altresì l'istigazione accolta cui non consegue la realizzazione di alcun tentativo di suicidio ed addirittura di quella seguita dall'esecuzione da parte della vittima del proposito suicida da cui derivino, però, solo delle lesioni lievi o lievissime".

A fronte di tutto ciò, la Cassazione conclude sottolineando che "la soglia di rilevanza penale individuata dalla legge in corrispondenza della consumazione dell'evento meno grave impone quindi di escludere la punibilità del tentativo, dato che, per l'appunto, non è punibile neppure il più grave fatto dell'istigazione seguita da suicidio mancato da cui deriva una lesione lieve o lievissima". Per questi motivi, i supremi giudici hanno confermato il sequestro del cellulare dell'indagato solo per il reato di adescamento e non anche per l'istigazione al suicidio come aveva invece fatto il Tribunale di Roma in veste di giudice del riesame, con ordinanza dello scorso 28 giugno, dando seguito alla richiesta del pm. La competenza del tribunale della capitale fa supporre che la 'vittima' sia residente a Roma, mentre il tentativo di Vianny B. di spostare la competenza a Bologna, luogo dal quale avrebbe compiuto l'adescamento on-line, fa ipotizzare che l'indagato risieda nel capoluogo emiliano.

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