A capo dell'organizzazione che sfruttava gli operai c'era un pakistano
Li costringevano a dormire in stalle e porcili, in condizioni igieniche degradanti, e a lavorare senza alcuna protezione, pagandoli una miseria. Per questa ragione 49 persone sono state denunciate dalla guardia di finanza di Montegiordano (Cosenza), che durante complesse indagini ha portato alla luce un sistema di caporalato che sfruttava immigrati.
L'inchiesta è stata condotta da febbraio 2015 a maggio del 2016 e ha permesso di identificare un uomo pakistano ritenuto vero e proprio punto di riferimento, nella piana di Sibari, per quegli imprenditori agricoli che necessitano di manodopera illegale e a basso costo.
Il "caporale" intratteneva rapporti con due persone affiliate a una 'ndrina locale, con 19 immigrati irregolari e un latitante. Una volta reclutati, i lavoratori venivano alloggiati in stalle e porcili, adibiti a dormitori; i loro documenti di identità venivano consegnati al "caporale" che li chiudeva a chiave in armadi di metallo. Nessuno, tranne lui, poteva aprirli. Agli operai non veniva consegnata alcuna attrezzatura adeguata, nemmeno guanti o visiere protettive e la paga era irrisoria.
Il pakistano secondo l'accusa è riuscito a guadagnare sulla pelle degli operai circa 250.000 euro in poco più di un anno, in parte destinati anche alle cosiddette "bacinelle" delle organizzazioni criminali. La rimanente parte dei guadagni dell'attività di intermediazione veniva trasferita in Pakistan attraverso servizi di money transfer.