Le indagini hanno dimostrato che il vero obiettivo dell'agguato era l'uomo, in macchina con la 48enne, vicino agli ambienti della 'ndrangheta
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Quattro persone sono state fermate dalla polizia di Reggio Calabria. Sarebbero i presunti assassini di Fortunata Fortugno, la donna di 48 anni uccisa il 16 marzo con una serie di colpi di pistola sparati da più persone mentre era in auto con l'amante, Demetrio Lo Giudice. Proprio l'uomo, un 53enne ritenuto elemento di spicco dell'omonima cosca della 'ndrangheta, rimasto ferito a un braccio durante l'agguato, era probabilmente l'obiettivo dei sicari.
L'inchiesta "De Bello Gallico", condotta dalla Direzione distrettuale antimafia e dalla Polizia di Stato di Reggio Calabria, ha dimostrato che l'agguato ai due, appartati nei pressi di un torrente nel quartiere Gallico era stato organizzato per lui.
Le quattro persone fermate sono tutte italiane e accusate, a vario titolo, di omicidio e tentato omicidio pluriaggravati anche dal metodo mafioso, associazione mafiosa, detenzione e porto d'armi da fuoco clandestine, danneggiamento aggravato, furto aggravato e detenzione illegale di segni distintivi e oggetti in uso ai corpi di polizia. La svolta nelle indagini della squadra mobile di Reggio Calabria è arrivata grazie alle immagini acquisite dagli impianti di videosorveglianza pubblici e privati e dalle intercettazioni ambientali disposte nei confronti di alcuni sospettati.
Grazie ai filmati, i poliziotti sono riusciti a individuare l'auto utilizzata la sera del 16 marzo per compiere l'agguato e guidata da Paolo Chindemi, 28enne di Gallico, considerato l'autore materiale del delitto e figlio di Pasquale Chindemi, ucciso tre mesi prima. Nell'ambito dell'inchiesta, gli investigatori hanno ricostruito l'assetto organizzativo e operativo di un emergente gruppo mafioso, aderente alla 'ndrangheta, dedito alla consumazione di reati contro la persona e il patrimonio, composto, oltre che da Paolo Chindemi, dallo zio Mario Chindemi (50 anni), da Santo Pellegrino (32) e da Ettore Corrado Bilardi detto "Pietro" (66), tutti fermati per associazione mafiosa.
Le intercettazioni ambientali hanno dimostrato che lo scopo fondamentale del gruppo era affermare a Gallico la propria leadership criminale conquistando spazi sempre più ampi grazie all'uso delle armi, controllo delle attività estorsive a danno di imprenditori e commercianti e all'eliminazione degli esponenti delle fazioni nemiche. Ad alcuni componenti del gruppo mafioso è anche contestato un atto intimidatorio perpetrato a Gallico il 22 maggio, con l'esplosione di alcuni colpi di fucile contro le serrande di due garage di un condominio di cinque piani.