Il boss pentito dei Casalesi ricostruisce il sistema di gestione degli appalti nel Casertano e confessa: "Ho commesso tanti omicidi, non li ricordo tutti"
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"All'inizio noi non li cercavamo; aspettavamo che fossero loro, gli imprenditori, a fare i primi passi per gli appalti, dopo di che li interpellavamo. Poi furono loro a scegliere noi: ognuno cercava un riferimento con qualcuno di noi". Così il boss pentito del clan dei Casalesi, Antonio Iovine, ha ricostruito, davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, il sistema di gestione degli appalti nel Casertano e i rapporti con gli imprenditori.
"Ho iniziato la collaborazione per avere un futuro migliore, per dare una svolta alla mia vita", ha esordito l'ex boss dei Casalesi, diventato collaboratore di giustizia dal 13 maggio. Iovine viene sentito in teleconferenza al processo in cui è imputato, tra gli altri, l'ex sindaco di Villa Literno (Caserta) Enrico Fabozzi.
"Fui affiliato al clan dei Casalesi con la pungitura nel 1985, lo stesso giorno dell'omicidio Di Nuvoletta", ha detto, raccontando come si svolse la cerimonia che segnò il suo ingresso nel clan. "Ad affiliarmi - ha detto - furono Antonio Bardellino e Vincenzo De Falco. Mi punsero un dito e fecero cadere alcune gocce di sangue su un santino. Pronunciai un giuramento le cui parole esatte non ricordo, ma nel quale mi impegnavo a non tradire il clan".
"Non ricordo tutti gli omicidi che ho commesso" - "Ho commesso tanti omicidi, non li ricordo tutti", ha detto ancora, rispondendo alle domande del pm Antonello Ardituro. Iovine ha anche tentato di fare il conto delle persone da lui uccise, ma non è riuscito a ricordarle tutte. Si è poi soffermato in particolare sul primo omicidio al quale prese parte, quello di Ciro Nuvoletta, fratello del boss di Marano (Napoli) Aniello. L'omicidio, ha spiegato Iovine, rientrava nello scontro tra i mafiosi corleonesi, alleati dei Nuvoletta, e il gruppo dei Casalesi. I siciliani avrebbero voluto che Antonio Bardellino uccidesse Tommaso Buscetta, ma Bardellino si rifiutò: per questo motivo, ha aggiunto Iovine, egli stesso fu poi assassinato in Brasile.
"Centomila euro per gli stipendi" - Ogni mese Iovine poteva contare su centomila euro per pagare gli "stipendi" ai suoi affiliati e per soddisfare le esigenze personal, ha detto ancora il pentito, rispondendo da una località segreta. Il boss provvedeva a retribuire le famiglie degli affiliati detenuti; un compenso maggiore andava a quelli detenuti in regime di carcere duro. Il sistema, ha spiegato Iovine, si incrinò tuttavia nel 2010 dopo la sentenza di appello Spartacus, quando il clan subì una frammentazione.
"Il vero sindaco era il nostro Peppinotto" - "Non ho mai avuto nessun tipo di problema per l'appartenenza politica dei sindaci; anzi, la posizione politica dei sindaci era per noi ininfluente", ha detto spiegando come il clan dei Casalesi esercitava il controllo delle amministrazioni locali. "Lo sapevano anche i bambini - ha esemplificato Iovine - che a San Cipriano d'Aversa, il vero sindaco era 'Peppinotto', ovvero il nostro Giuseppe Caterino".