Nemmeno se ci si rivolge a una persona eterosessuale. Secondo i giudici "nel presente contesto storico il fine non è più denigratorio come in passato"
"Nel presente contesto storico" è da escludere che il termine "omosessuale" abbia conservato "un significato intrinsecamente offensivo come, forse, poteva ritenersi in un passato nemmeno tanto remoto". Lo sottolinea la Cassazione, spiegando che tale parola è entrata nell'uso corrente e attiene alle "preferenze sessuali dell'individuo", assumendo "un carattere neutro" e non denigratorio anche nel caso in cui sia rivolta a una persona eterosessuale.
Secondo i giudici, il termine "omosessuale" va considerato diversamente da altri "appellativi" che invece mantengono un carattere lesivo della reputazione dell'individuo. Con questa motivazione, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio la condanna per diffamazione inflitta il 20 marzo 2015 dal Giudice di pace di Trieste nei confronti di un uomo che aveva usato questo termine in un atto di querela rivolgendosi a un "avversario" eterosessuale.
Il caso che ha portato alla sentenza - L'imputato era un argentino di 70 anni, Carlo Alberto Chichiarelli, noto alle cronache della Capitale per vantare un credito di 13 milioni e mezzo di euro (soggetti a interessi e rivalutazione dal 1980) dal Comune di Roma per l'enorme espropriazione dei terreni di Tor Bella Monaca appartenuti al conte Romolo Vaselli. L'uomo è infatti entrano nell'asse ereditario del nobile per via di una "liaison" sentimentale. Contro la condanna penale pari a una pena pecuniaria di entità non nota, Chichiarelli ha fatto ricorso direttamente in Cassazione, saltando l'appello e sostenendo che la parola "omosessuale" ha ormai perso "qualsiasi carattere lesivo" nell'evoluzione "del linguaggio comune".
"La tipicità della condotta di diffamazione - scrive la Cassazione - consiste nell'offesa alla reputazione: è dunque necessario che i termini dispiegati o il concetto veicolato, nel caso di comunicazione scritta o orale, siano oggettivamente idonei a ledere la reputazione del soggetto" al quale sono rivolti. Fatta questa premessa, i supremi giudici affermano che "è innanzi tutto da escludere che il termine 'omosessuale' utilizzato dall'imputato abbia conservato nel presente contesto storico un significato intrinsecamente offensivo".