La Suprema Corte ribalta il giudizio dell'Appello e accoglie dunque il ricorso di una donna contro la condanna per il tentato taccheggio perché va considerata "la scarsa offensività dell’azione"
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Il giudice non può escludere la non punibilità per la particolare tenuità del fatto, nel caso di un tentato furto al supermercato per merce di un valore pari a 53 euro. La Cassazione accoglie dunque il ricorso di una donna contro la condanna per il tentato furto, aggravato dall’esposizione della merce alla fede pubblica.
Per la Corte di Cassazione, i precedenti di polizia, come il fatto che l’imputata, classe ’89, fosse disoccupata non bastano per negare l’applicazione dell’articolo 131-bis del Codice penale, che scatta quando pur affermata l’esistenza del reato sia considerata la scarsa offensività dell’azione.
La Corte d'Appello aveva escluso sia la particolare tenuità del fatto, che consente di restare impuniti, sia il beneficio della non menzione della condanna, previsto dall’articolo 175 del Codice penale. La Corte territoriale aveva detto no ad entrambi gli istituti, pur in presenza di una condotta singola e non reiterata, considerando che c’erano elementi per affermare l’abitualità di una condotta che andava considerata comunque grave.
Ininfluente lo stato di disoccupazione. A pesare per la Corte di merito erano stati dei precedenti di polizia e lo stato di disoccupazione. La Cassazione corte non è d’accordo. I giudici di legittimità chiariscono che quando ci sono trascorsi con la polizia è necessario valutarne gli esiti, bisogna verificare se le segnalazioni si sono tradotte in una notizia di reato iscritta nei relativi registri o nell’avvio di un procedimento penale. Troppo generica dunque, senza questi approfondimenti la decisione della Corte d’Appello.
La Cassazione boccia poi il binomio disoccupato uguale ladro abituale. Per la Suprema corte, infatti, è del tutto incongruo il riferimento allo stato di disoccupazione, utilizzato per supportare una presunzione di abitualità.
Infine non è giustificato neppure il rifiuto delle non menzione della sentenza di condanna. Un beneficio "fondato sul principio dell’”emenda” che tende a favorire il processo di recupero, morale e sociale del condannato". La Corte d’Appello su queste basi dovrà formulare un nuovo giudizio.