La donna produceva documenti medici e certificati di nascita per ricevere contributi previdenziali e per non andare a lavorare. I parti inventati all'Umberto I di Roma, ma nessuna traccia nei registri
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Cinque figli in cinque anni, gravidanze a rischio, aborti spontanei. E, di conseguenza, congedi per maternità, contributi versati, astensioni dal lavoro chieste, certificate, concesse. Peccato che fosse tutta una messa in scena, proprio per intascare soldi non dovuti, architettata da Barbara Ioele, che è stata condannata in primo grado a un anno e otto mesi di carcere per falso e truffa.
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Eppure, secondo il racconto di "Repubblica" sull'incredibile caso, tutto era stato studiato nei minimi dettagli: le false gravidanze a rischio e le cinque maternità portate a termine, una all'anno, tra i 45 e i 50 anni della signora, tra il 2014 e il 2019, con tanto di documenti, timbri e firme di medici che attestavano le cinque nascite, mai avvenute, al Policlinico romano Umberto I. Benedetta, Angelica, Abramo, Letizia, Ismaele: tutti registrati con il cognome di Barbara, Ioele appunto. E, insieme ai "lieti eventi", tanti aborti spontanei. Forse troppi: sia gli aborti, sia le nascite. Tanto che qualcuno si è insospettito, e sono scattati indagini e accertamenti che hanno fatto venir fuori la verità.
Sembrava che tutto fosse in ordine: i bambini venivano registrati con documenti apparentemente regolari, timbri, certificati. E le maternità a rischio erano corredate da carte mediche che attestavano i disturbi della signora, impiegata in una catena di fast food dove non andava mai. I certificati arrivavano regolarmente all'Asl, con la firma di una ginecologa falsificata dalla Ioele, quindi venivano riconosciuti i requisiti richiesti per non lavorare e per ottenere dall'Inps i relativi contributi.
In questi anni la signora ha così ricevuto dalle casse dell'Inps 111mila euro. Adesso però, dopo le indagini sul suo caso effettuate dai carabinieri dell'ispettorato del Lavoro, i giudici hanno dato ragione al pm Carlo Villani, che ha accusato la donna di falso e truffa. Dichiarato colpevole anche il compagno, Davide Pizzinato, che avrebbe aiutato la partner nella truffa: per lui sono stati disposti sette mesi di carcere.
I due, si legge nella sentenza, "inducevano in errore prima l'Asl che confermava i requisiti per l'astensione anticipata dal lavoro poi prodotta all'Inps per ottenere emolumenti non dovuti". E' quindi "indiscusso - dicono ancora i giudici -, alla luce della piena confessione del Pizzinato, che abbiano concorso nel delitto di truffa aggravata in danno dell'ente pubblico".