L'uomo soffriva di cardiopatia ischemica cronica a causa dei numerosi sforzi compiuti nell'ambito lavorativo
Carabinieri e necrofori all'esterno della abitazione a Ceggia (Venezia) il 19 febbraio 2010. Le vittime sono Tiziana Bragato ed il figlio Gabriele, un bambino che frequentava la prima elementare ed avrebbe compiuto 7 anni ad ottobre. La donna si è impiccata con una corda che aveva stretto ad una spalliera ginnica montata nella stanza da letto, al primo piano della casa. Il piccolo è stato trovato dal papà esanime sul letto della stessa stanza. © ansa
Il giudice del Lavoro del Tribunale di Napoli ha condannato il Comune partenopeo a risarcire un necroforo (operaio addetto al recupero e al trasporto delle salme) che accusò un infarto mentre trasportava una salma di oltre 120 chili. L'uomo, colto dal malore, è sopravvissuto grazie al ricovero tempestivo in una clinica dove era stato operato di bypass il giorno dopo. A incidere sulla condanna per l'aggravamento di una cardiopatia ischemica, anche la mancata osservanza delle norme di sicurezza, previste per un lavoro di quel tipo.
I fatti risalgono ai primi giorni di gennaio del 2019 quando due operatori comunali furono chiamati a recuperare il cadavere di un uomo, deceduto in un hotel in piazza Garibaldi. Il recupero risultò difficoltoso a causa dell'eccessivo peso: i due provarono comunque a trasportarlo giù per le scale senza l'utilizzo di attrezzature meccaniche e senza l'aiuto di altri due colleghi, come previsto dal regolamento.
Il necroforo, ha raccontato im tribunale come situazioni del genere non fossero una novità nella sua situazione lavorativa e come i numerosi sforzi gli abbiano procurato una cardiopatia ischemica cronica. Dopo un processo durato tre anni il giudice del lavoro ha parzialmente accolto il ricorso della vittima che avrà diritto al rimborso delle spese processuali, oltre ai danni biologici e morali.