Il ricercatore Giambattista Scirè racconta a Tgcom24 le ingiustizie subite nell'ateneo catanese e la sua battaglia contro lo strapotere dei "baroni" e l'omertà delle altre vittime
di Giuliana Grimaldi© tgcom24
L'inchiesta "Università bandita" ha sollevato il velo su 27 concorsi presunti "truccati" e su altre 97 procedure concorsuali poco chiare. Dalla sospensione del rettore di Catania e di nove professori, lo scandalo si è allargato agli atenei di Bologna, Cagliari, Catanzaro, Chieti-Pescara, Firenze, Messina, Milano, Napoli, Padova, Roma, Trieste, Venezia e Verona. Quaranta i docenti indagati nel capoluogo etneo e 20 in altre università. Inevitabili le polemiche sul sistema dei baroni che avrebbero ancora il potere di stabilire incarichi e carriere accademiche, privilegiando familiari e amici. A raccontare a Tgcom24 quello che succede nella facoltà d'Italia è Giambattista Scirè, ricercatore e portavoce dell'associazione non profit "Trasparenza e Merito. L’Università che vogliamo", che ha vissuto sulla propria pelle l'ingiustizia di un sistema che non premia il talento e ha testimoniato nell'inchiesta aperta dalla Procura catanese.
L'inchiesta della Procura di Catania ha portato alla luce diversi concorsi truccati, tra i quali il suo: cosa successe nella sua facoltà quando lei aspirava al ruolo di ricercatore in Storia?
L'inchiesta "Università bandita" si intreccia indubbiamente con la mia denuncia, fosse anche per alcuni nomi emersi. La mia vicenda ha precorso i tempi perché le modalità sono identiche ai concorsi della recente inchiesta: tutto è stato predeterminato, la commissione ha violato un bando di concorso e un decreto ministeriale per far vincere una persona che non aveva titoli e requisiti idonei, perché di un altro settore scientifico. L'iter giudiziario amministrativo e poi penale mi ha dato ragione, è stato dimostrato il dolo dell'operato della commissione, le collusioni dell'ateneo, ho avuto un risarcimento molto parziale del danno dal punto di vista economico, ma non ho potuto svolgere il mio contratto da ricercatore che prevedeva un triennio con proroga per il biennio quindi cinque anni, dei quali ho potuto svolgere solo quattro mesi attraverso un contratto irregolare che ho dovuto impugnare con i miei avvocati.
Qual era la sua aspettativa di carriera dentro l'Università di Catania?
Mi presentavo a quel concorso da esterno, perché avevo svolto la mia formazione accademica altrove, all'Università di Firenze, quindi ero fuori dal giro che decideva tutti i concorsi catanesi. Ecco la ragione per la quale la mia denuncia è stata vista come un'atto di lesa maestà: quando ancora certe cose non si potevano mé dire e neppure bisbigliare, ho compiuto un atto di rottura, e per questa ragione sono stato isolato, emarginato dall'intero settore scientifico disciplinare e in particolare dall'ateneo catanese che ha attuato un vero e proprio muro di gomma nei miei confronti.
I professori coinvolti nel suo concorso truccato sono stati toccati dall'inchiesta attuale?
I docenti coinvolti nel mio settore sono tre, e il concorso risale al lontano 2011, quindi non c'entra con i concorsi di questa inchiesta che sono relativi ad anni più recenti. Però figurano due nomi, tra i docenti interdetti, ovvero Giancarlo Magnano Sanlio, attuale prorettore, all'epoca direttore del Disum, il dipartimento che bandì il concorso truccato, e poi il nome di Giuseppe Barone, direttore del dipartimento di Scienze politiche, docente del mio settore di storia contemporanea, che dopo la non proroga del mio contratto, subentrò per le ore residue dei corsi che avevo tenuto per i quattro mesi e che non avevo potuto completare per decisione dell'ateneo. Su 53 contratti della stessa tipologia del mio, nell'intero ateneo di Catania, ne furono prorogati ben 52, tutti eccetto il mio.
Cosa è successo alla sua carriera dopo le denunce? Adesso le è stato riconosciuto quanto chiesto?
La mia carriera è stata distrutta, dal punto di vista accademico e professionale mi sono dovuto dedicare a far ricorsi e denunce, quindi alle carte e alle documentazioni con gli avvocati, piuttosto che a poter lavorare, produrre, scrivere libri di storia e insegnare. Non ho più potuto pubblicare con le riviste scientifiche del mio settore, con le case editrici con le quali avevo pubblicato le mie monografie, i docenti colleghi con cui prima collaboravo si sono tutti dileguati, solamente perché avevo osato rivendicare i miei diritti di vittima di un concorso truccato. Anche la mia vita personale e sociale ha avuto un grave danno, non lavorando. Mi è stato riconosciuto solo un risarcimento parziale amministrativo e una provvisionale per la parte penale, ma adesso farò una causa civile per i danni morali e tutte le perdite di chance.
In che modo lavorano i baroni nelle università? Come funziona l'attribuzione degli incarichi e perché il sistema regge senza che le vittime si ribellino?
Il sistema del reclutamento all'università, come dimostra il caso di Catania, è un sistema clientelare, nepotistico, familistico, in molti casi fondato sulla corruzione e che agisce con metodi mafiosi. Lo scambio è alla base di ogni concorso, il quale è predeterminato in partenza, ovvero si sa chi deve vincere e la commissione agisce e crea il bando e decide i criteri di valutazioni per far vincere il predestinato. Questo è il sistema in atto in tutti gli atenei e in tutti i settori scientifici: poi , in alcuni casi, capita che vinca anche il candidato migliore e più titolato, ma questa è l'eccezione e non la regola. Il sistema ha retto finora perché ognuno, ogni docente ha uno scheletro nell'armadio per essere ricattato dall'altro. Gli scambi ai concorsi vanno avanti da decenni, è un sistema che si è sedimentato. Nessuno si è finora ribellato per paura di ritorsioni alla carriera lavorativa. Adesso però c'è una associazione che ho fondato da quando ho fatto la mia denuncia che si chiama "Trasparenza e merito. L'Università che vogliamo" e che invita tutti a denunciare i soprusi, aiuta psicologicamente e con un supporto di consulenza i candidati che sono vittima di concorsi irregolari, e che aiuta anche a rendere pubblici i casi sulla stampa. Una vera e propria rivoluzione nella mentalità per il reclutamento universitario.