La Corte Costituzionale risponde con una sentenza a una questione sollevata dai Tribunali di Bologna e di Venezia
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È costituzionalmente illegittimo il divieto di concedere al padre la detenzione domiciliare quando la madre sia deceduta o impossibilitata a occuparsi dei figli, ma questi possano essere affidati a terze persone. Non viola, invece, i principi costituzionali il diverso trattamento, stabilito dall'ordinamento penitenziario, per la donna e l'uomo condannati che abbiano figli di età non superiore a dieci anni oppure gravemente disabili. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale. "La questione - spiega la Consulta - era stata sollevata dai Tribunali di sorveglianza di Bologna e di Venezia.
Il primo caso riguarda un detenuto che aveva chiesto di essere ammesso alla detenzione domiciliare per occuparsi dei suoi due bambini, che erano allo stato accuditi dalla loro sorella maggiore. Il secondo caso concerne invece l'analoga richiesta di un detenuto padre di un figlio gravemente disabile, che necessitava di continua assistenza da parte della madre".
Secondo i due tribunali, la differenza di trattamento tra padre e madre detenuto non consentirebbe di tutelare appieno gli interessi dei figli, privandoli indebitamente del rapporto con il padre. Inoltre, essa violerebbe il principio di eguaglianza tra sessi e all'interno del matrimonio, "privilegiando irragionevolmente la posizione della madre rispetto a quella del padre". La Corte Costituzionale ha osservato che il legislatore ha ritenuto di apprestare un trattamento di particolare favore per il rapporto tra la madre condannata e il bambino in tenera età, muovendosi in consonanza con l'obbligo di proteggere la maternità stabilito dall'articolo 31 della Costituzione. Oltre che con numerose raccomandazioni di diritto internazionale che mirano ad assicurare, per quanto possibile, la presenza della madre condannata accanto ai propri figli.
La decisione della Consulta è stata influenzata anche dal "limitato impatto della misura sulla popolazione carceraria complessiva", composta solo per il 4% da detenute donne. La Corte ha concluso che "la scelta compiuta dal legislatore di assicurare la presenza anche della madre condannata a una pena detentiva, pur laddove il padre sia in condizione di farsi carico della cura e dell'educazione del minore, è il frutto di un bilanciamento non irragionevole tra l'interesse all'esecuzione della pena detentiva - e dunque della pretesa punitiva dello Stato - e l'interesse del minore alla relazione genitoriale".