Vittime del coronavirus, comitato parenti presenta denuncia
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I fratelli Federici: "Non ci hanno ancora fatto i tamponi". L'iniziativa del comitato "Noi denunceremo" riunisce i familiari dei morti per Covid-19
I fratelli Pietro e Diego Federici, bergamaschi, nel giro di quattro giorni hanno perso il padre e la madre a causa del coronavirus. Ci sono anche loro tra le persone in fila davanti alla procura di Bergamo per presentare denuncia. "Non ha funzionato niente, dalla comunicazione con gli ospedali alle cure", spiegano. "Nostro papà è salito sull'ambulanza con le proprie gambe - raccontano -, nel giro di due giorni ci hanno detto: 'è migliorato', 'è peggiorato', 'è morto'".
"Con nostra madre è stata la stessa cosa. Ci hanno detto: 'Stiamo cominciando a darle la morfina'. La state accompagnando a morire? 'No, la aiutiamo a non soffrire', ci hanno risposto e in poco tempo non c'era più". "Ora siamo qui per dare loro giustizia e fare in modo che queste cose non accadano ad altri", spiegano: "Nessuno ci ha ancora fatto il tampone".
Il comitato "Noi denunceremo" - "Cercare la verità su quello che è accaduto in Lombardia per poter identificare i responsabili e avere giustizia". Così Luca Fusco, presidente del Comitato "Noi denunceremo - verità e giustizia per le vittime del Covid-19" ha illustrato il senso del "Denuncia Day", l'inziativa che vede decine di parenti dei morti per coronavirus riuniti davanti alla procura di Bergamo per consegnare ai magistrati le loro denunce.
"Presentiamo le prime 50 denunce che siamo riusciti a preparare. Siamo tutti volontari e abbiamo bisogno di tempo. Abbiamo ancora 150 denunce da elaborare che saranno presentate al più presto". Sono tutte denunce "contro ignoti", ha precisato il presidente del Comitato delle vittime: "Non puntiamo il dito contro nessuno, raccontiamo ciò che è successo. Poi sarà la procura, con tranquillità e serenità, a individuare ipotesi di reato. Sarà un'indagine lunga e difficile".
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Fusco si è comunque detto convinto che le responsabilità di quanto accaduto riguardino soprattutto il mondo politico: "La prima è quella di non aver chiuso la Valseriana quando doveva essere chiusa, cioè il 23 febbraio, lasciando trascorrere 15 criminali giorni fino all'8 marzo, cioè quando la Regione Lombardia è diventata zona arancione. Per 15 giorni noi bergamaschi abbiamo viaggiato, lavorato, bevuto il caffè e fatto gli aperitivi. A quel punto il virus ha circolato senza problemi. Se ci fosse stata la chiusura tempestiva della zona rossa nella provincia di Bergamo, forse non avremmo dovuto chiudere tutta la Lombardia. E probabilmente avremmo evitato il lockdown italiano".
"Su zona rossa ci fu inerzia" "Quindici giorni di assoluta inerzia che hanno permesso al focolaio della media Valle Seriana di espandersi liberamente e in modo incontrollato, diventando un incendio di proporzioni devastanti". E' questo uno degli argomenti piu' ricorrenti nelle denunce dei parenti delle vittime di coronavirus depositate in procura a Bergamo.