A Livorno il 69enne Alberto Rossi ha risposto alla chiamata del governo ed è tornato in corsia all'ospedale di Piacenza
Il medico colonnello ha risposto alla "chiamata alle armi" del governo e si è arruolato nella task force di volontari per combattere il coronavirus. Alberto Rossi, 69 anni, medico militare in pensione dal 2011, ha indossato di nuovo il camice. Ha lasciato Livorno ed è partito per raggiungere l'ospedale di Piacenza.
E' stato tra i primi a rispondere alla richiesta di aiuto del governo. Cosa l'ha spinta ad accettare?
"Quando ho sentito la chiamata non ci ho pensato due volte. Mi sono detto: sono libero, non ho una moglie che mi aspetta a casa. Posso farlo e voglio farlo anche per capire di più ciò che sta succedendo. Ho risposto alla prima chiamata, al primo scaglione dei medici che sono stati arruolati per ad andare nelle zone più colpite. Dal 27 marzo e fino al 16 aprile presterò servizio all'ospedale di Piacenza come pneumologo".
In che reparto opera adesso e che situazione ha trovato?
"Ora sono impiegato in un reparto di emergenza sanitaria dove ci sono casi di media gravità. Riscontro che spesso l'evoluzione negativa della malattia si verifica sui soggetti con età sopra i 70 anni e con patologie pregresse. Per quanto riguarda i giovani, chi ha sviluppato sintomi più evidenti ha anche delle carenze immunitarie o problematiche di salute. Certo, mi ha molto colpito la severità di come questo virus possa attaccare l'organismo".
Cosa ha provato quando ha indossato nuovamente il camice dopo nove anni?
"Una sensazione di piacere di poter essere d'aiuto e allo stesso tempo il desiderio di imparare aspetti nuovi del mio lavoro. E' un'esperienza molto diversa rispetto a quella che ho vissuto nell'ospedale militare di Livorno".
Dal punto di vista umano, invece, quale aspetto l'ha colpita di più?
"La sofferenza di tante persone ricoverate e la paura della morte di chi sviluppa la malattia".
A proposito di paura, lei che è medico e in pensione si sente a rischio?
"Io no, non ho paura. Ho fatto il tampone prima di partire, perché questa è la prassi, ed è risultato negativo. E' anche vero che la stragrande maggioranza dei medici e infermieri che sono qui in ospedale non hanno fatto il tampone. Questo ci dice che non c'è stata l'attenzione necessaria".
In un ospedale che è molto vicino alle aree più colpite dal virus..
"Certo, tenga conto che Codogno è a 15 km da qui e quando è scoppiata l'epidemia i malati si sono riversati sull'ospedale di Piacenza che quindi è quasi tutto riservato a Covid positivi. Un grave errore è stato non aver predisposto tempestivamente un ospedale da campo per fare una distinzione tra i positivi e i negativi. Con il rischio concreto che i pazienti ricoverati all'interno dell'ospedale per altre patologie vengano contagiati".
Secondo lei, riusciremo a battere questo virus?
"La situazione a Piacenza sta migliorando giorno dopo giorno e questo è un dato positivo. Io mi sono fatto l'idea che questo virus circoli da molto tempo. E' che in realtà siano moltissime le persone che già lo hanno contratto. Quando ascoltiamo i dati non dovremmo parlare di numero di contagiati ma di persone risultate positive. I contagiati, secondo me, arrivano a essere milioni".
Sua figlia cosa le ha detto quando le ha comunicato la decisione di partire?
"In un primo momento ha cercato di dissuadermi. Poi ha ceduto perché mi ha visto così determinato a venire qua e consapevole della necessità di prendere tutte le precauzioni necessarie. Ha capito e ora mi aspetta a casa".